giovedì, giugno 29, 2006

Piccoli principi

Bambini sul palcoscenico
Per anni, come attore e come regista, ho rappresentato, in giro per i maggiori teatri italiani, uno spettacolo tratto da Il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Con minor ampiezza, ma con lo stesso successo, ho portato sulla scena un’edizione de Le avventure di Pinocchio, sotto forma di teatro misto a musica rock.
In entrambi i casi, il contributo più rilevante al successo di questi allestimenti è venuto dall’interpretazione del ruolo dei piccoli protagonisti da parte di bambini: cosa che può sembrare ovvia, ma che non lo è, per la ragione che la maggior parte dei teatranti teme i problemi, le insidie, le cautele che comporta la presenza di bambini in palcoscenico.
E perciò, per esempio, si danno edizioni de Il piccolo Principe nelle quali la parte del titolo viene affidata a una ragazza appena maggiorenne: perdendosi così la freschezza del capolavoro e creando addirittura un che di ambiguo nel rapporto tra il bambino e gli altri personaggi, in particolare col pilota che rappresenta l’io narrante dell’autore.

La sensibilità
Nel corso degli anni si sono succeduti al mio fianco, sul palcoscenico e tra le quinte, dieci bambini. Dieci mondi diversi, come si può immaginare, alle prese con quella speciale emozione che provoca il palcoscenico, soprattutto quando la grande bocca del sipario rosso si apre su una platea di più di mille spettatori.
Ma forse il problema dell’emozione non è il problema per queste piccole creature, perché sono per lo più dotate di una grande qualità: l’incoscienza, dote che noi attori adulti perdiamo sempre di più con l’età e che dobbiamo surrogare con le arti del “mestiere”.
La paura
Con ciò non voglio dire che siano completamente catafratti: il problema della paura c’è, eccome: tant’è vero che non bisogna trascurare di accertarsi più volte, prima di andare in scena, che abbiano fatto pipì. E inoltre, soprattutto, c’è il diverso modo che hanno di esternare la loro sensibilità: per cui, c’è chi preferisce avere la mamma vicina fino al momento dell’entrata in palcoscenico: chi invece - e sono i più - preferisce che la mamma si allontani, per surrogarla con un’altra figura, in genere la vestiarista che li accudisce per preparali alla scena (e qui si potrebbe aprire una gustosa parentesi sui problemi del pudore dei bambini, che viene spesso messo a dura prova –involontariamente - dalla disinvolta promiscuità dei camerini).

Percorso ludico
E’ ovvio che, fin dalla fase delle prove, cerco di indirizzare il bambino soltanto sul binario di un percorso ludico. Questa fase, che può durare uno-due mesi a seconda delle capacità mnemoniche del bambino o a seconda del tempo a disposizione, è senz’altro la fase più impegnativa e francamente noiosa e non solo per il piccolo: è quindi una fase fatta di accelerazioni e di rallentamenti, che però vengono superati quando sia ben chiaro per il bambino il percorso che deve percorrere e la meta che lo aspetta: una specie di “caccia al tesoro”. Molto contano gli elogi che accompagnano i suoi progressi, i quali non tardano a verificarsi, perché ogni bambino ha in sé una spontaneità che lo porta ben presto a “giocare” il suo piccolo Principe o il suo Pinocchio.
A questo proposito, mi preme di specificare che evito di fare dei provini, che per lo più mortificano i bambini: mi limito a una scelta basata più che altro sull’intuito, talmente sono sicuro che in ogni bambino c’è un piccolo attore potenziale: basta lasciarlo esprimere.

Il teatro che fa bene
Resta da dire una cosa: qual è il rapporto tra il bambino e il fatto estetico più complessivo della messa in scena teatrale? C’è coscienza, nel piccolo interprete, di quello che rappresenta? In altre parole, oltre al gioco del palcoscenico, lo appassiona anche il testo e, in generale, l’”operazione adulta” che accompagna una messa in scena?
Non illudiamoci: in questi tempi di “usa e getta”, l’incanto di una favola, anche se straordinaria come Il piccolo Principe, ha la breve durata di una prima lettura: poi si ritorna alle adorate play station.
Però quello che ho potuto verificare, durante i vari percorsi, è il grado di coscienza “attoriale” che investe gradatamente il piccolo attore.
Diciamo intanto che l’età ideale per iniziarlo a questa esperienza si aggira sui sette anni: è questa l’età -anno più, anno meno- in cui la sensibilità artistica di un piccolo, a seconda del suo talento naturale, è più ricettiva (questo avviene in tutte le discipline: arti figurative, musica, danza, ecc.). Bene, ho sempre notato nei miei piccoli partner una parabola: in una prima fase incantano con l’innocenza disarmante della loro ingenuità infantile. In una seconda fase (certamente “rubando” il mestiere agli attori adulti) diventano padroni del gioco e sono addirittura capaci di spiazzare il partner, vuoi con delle pause inaspettate, vuoi con delle intonazioni originali o dei piccoli cambi improvvisati della partitura teatrale. Infine, in una terza fase, cominciano a denunciare una certa stanchezza, sfoderando spesso il peggio del mestieraccio: ripetitività, distacco e addirittura birignao (che, in gergo, sarebbe quel parlare falso, attoriale nel peggior senso).
Arriva così il momento in cui è meglio separarsi dal nostro piccolo amico: siamo intorno agli undici anni e già porta sul viso i primissimi segni della pubertà. Lascerà dietro alle spalle questa esperienza che gli ha fatto un gran bene: conoscendo la grande famiglia del teatro tra le quinte e sul palco, il timido ha imparato a socializzare, lo scontroso a rilassarsi, l’esuberante a disciplinarsi.
E’ raro che continuino sulla strada del teatro: uno su dieci, per ora. Ma questo è ovvio. Il teatro è un gioco che fa bene. Il praticarlo come professione, da adulto, è tutto un altro discorso.
Italo Dall’Orto (articolo pubblicato su Il nuovo anno 8 n° 1)

giovedì, giugno 22, 2006

Ipertricosi e irsutismo

Ipertricosi ed irsutismo costituiscono ancor oggi un argomento complesso: in molte forme, infatti, non sono ancora stati individuati i meccanismi patogenetici e, di conseguenza può risultare difficile eseguire una terapia razionale corretta. Pur essendo entrambi caratterizzati da una peluria eccessiva, ipertricosi e irsutismo rappresentano due entità distinte.
L'ipertricosi è un'eccessiva crescita su tutto il corpo di peli (vello), senza "midollo", scarsamente colorati e di lunghezza inferiore a 2 cm, un processo androgeno-indipendente prevalente in aree non sessuali. Più comunemente di origine familiare, l'ipertricosi si può presentare anche come forma acquisita (es. ipertricosi circoscritta da lesione cutanea), essere causata da disordini metabolici (es. mucopolisaccaridosi, disturbi tiroidei, anoressia nervosa, ipotiroidismo giovanile) o da farmaci (es. fenitoina, minoxidil, ciclosporina, penicillina). Anche diverse sindromi congenite (lipodistrofia generalizzata, sindrome fetale da idantoina, trisomia 18, sindrome di Donahue, sindrome di De Lange e sindrome di Hurler's) possono essere caratterizzate da un'eccessiva distribuzione di peli corporei nell'ambito di un'ipertricosi quasi generalizzata.
L'irsutismo invece è un'eccessiva crescita di peli terminali (pelo lungo, ruvido, colorato e con "midollo") a distribuzione tipicamente maschile, un processo usualmente androgeno-dipendente che coinvolge aree corporee sensibili all'azione degli ormoni sessuali, quindi dipendente da un'alterata produzione e/o funzionalità degli ormoni androgeni. Questi ormoni favoriscono il passaggio del pelo follicolare alla fase anagena (di sviluppo) e possono accelerare e potenziare la crescita nelle zone sensibili. L’unità pilosebacea prepubere, presentando una sensibilità geneticamente determinata, possiede la capacità di svilupparsi, sotto stimolo androgeno, sia in senso di pelo terminale sia in follicolo sebaceo a seconda della localizzazione anatomica. Il processo d'androgenizzazione coinvolge l'unità pilifera e la parte sebacea ad essa strettamente connessa per cui nei bambini con adrenarca prematuro, prima ancora della comparsa del pelo pubico, si riscontra un cambiamento dell'odore ascellare e del sudore. Alla base del meccanismo endocrinologico che permette la trasformazione del pelo da vello a terminale e che induce la fase anagena, vi è la trasformazione del testosterone (T) in diidrotestosterone (DHT) attraverso il sistema enzimatico della 5-alfa-reduttasi. A livello cutaneo il DHT, vista la sua alta affinità e la sua lenta dissociazione con il recettore androgeno, è direttamente convertito nei metaboliti finali che esercitano azione androgena e che vengono considerati i principali indicatori dell'attivazione della 5-alfa-reduttasi.
La prima finalità dell'iter diagnostico è quella di distinguere tra ipertricosi ed irsutismo. Dal punto di vista anamnestico sono elementi in favore della diagnosi d'ipertricosi la presenza di traits familiari, l'assunzione di farmaci in grado di interferire con la crescita del pelo, l'origine mediterranea piuttosto che nordica e la presenza di un eccesso di peluria fin dalla nascita o dalla prima infanzia.
Se si propende per una diagnosi d'irsutismo, poiché è stata dimostrata una correlazione tra insulino resistenza ed iperproduzione d'androgeni, occorre indagare sulla possibile familiarità per diabete di tipo II. Occorre inoltre ricordare che adolescenti con segni d'irsutismo spesso anamnesticamente riferiscono un pregresso pubarca precoce ovvero la concomitanza d'alterazioni mestruali. Ulteriori elementi utili per una diagnosi definitiva sono: la presenza d'altri segni d'eccesso d'androgeni (acne, alopecia) o di vera e propria virilizzazione (ipertrofia clitoridea, sviluppo mascolino delle masse muscolari e della silhouette corporea), la presenza di sintomi d'accompagnamento quali l’obesità o l’eccessiva magrezza (anoressia nervosa) e la rapidità d’insorgenza del fenomeno, poiché un veloce e repentino instaurarsi dell'irsutismo deve far ipotizzare una rapida e intensa iperproduzione come si può verificare in caso di neoplasie androgeno-secernenti.
Per stabilire il possibile ruolo degli ormoni androgeni nella patogenesi è importante anche la localizzazione anatomica dei peli (non sessuale e sessuale). La probabilità di una causa endocrina è bassa se la crescita sproporzionata di peli coinvolge le estremità, le sopracciglia e il cuoio capelluto, cioè quelle aree del corpo che non sono sotto stretto influsso degli ormoni sessuali, invece è alta se la comparsa di peli sessuali avviene a livello del viso (labbro superiore e mento), del tronco (capezzoli, petto, linea alba), delle cosce nonché dell’inguine e delle ascelle.
La sola presenza di peli sessuali in queste sedi non è sufficiente a far sospettare una situazione patologica. E’ infatti necessaria una valutazione quantitativa attraverso uno score che ci permetta di classificare la situazione clinica come variante della norma ovvero come irsutismo vero e proprio. Esistono varie scale per l'attribuzione di tale punteggio, ma quella proposta da Ferrriman e Gallwey è la più usata a livello internazionale. Un punteggio uguale o maggiore a 8 è indice di anormalità per donne di origine caucasica. Circa il 25-35% delle giovani donne ha peli terminali a livello dell'addome alto o basso, attorno ai capezzoli, sotto il mento e sopra o sotto le labbra per cui può essere normale per la donna presentare peli terminali in aree "maschili".
Generalmente nei casi di irsutismo dobbiamo sospettare un'iperproduzione o meglio un'iperattività androgena e le sorgenti di eccessiva produzione di androgeni possono essere il surrene, l'ovaio e la cute.
Nell'ambito dell'iperandrogenismo surrenalico, deve essere preso in considerazione l'adrenarca precoce. In tale condizione siamo in presenza di un'attivazione precoce della ghiandola surrenalica dove il pubarca rappresenta la principale espressione clinica, sebbene l'incremento della secrezione androgena possa rendersi manifesta anche con la sola comparsa di pelle grassa, acne e talora peluria ascellare. L'adrenarca, quindi, costituisce un fatto precoce in assenza d'altri segni di pubertà precoce. Dal punto di vista generale questi pazienti possono presentare un'altezza ed un'età ossea lievemente aumentate, ma lo sviluppo puberale inizia in tempi normali o in lieve anticipo. Occorre infatti rilevare come, in studi condotti a distanza su pazienti con adrenarca precoce, sia stato dimostrato che l'altezza finale rientra nell'ambito della normalità e che esiste una buona correlazione tra altezza finale di queste pazienti e l'altezza dei genitori. La patogenesi dell'adrenarca precoce è ancora sconosciuta: oltre all'ACTH, in grado di regolare una parte del surrene, è probabile un controllo a livello locale per lo sviluppo prematuro della zona reticolare del surrene devoluta alla produzione degli androgeni. La maggior parte delle ragazze con pubarca isolato prematuro presenta una precoce maturazione della secrezione degli androgeni e dei loro metaboliti con concentrazioni simili a quelle dei soggetti in età puberale. Meno frequentemente il pubarca prematuro rappresenta il risultato di una maggiore sensibilità dei follicoli piliferi sessuali a livelli d'androgeni normali per l'età. Occorre ricordare che una buona percentuale di queste bambine, durante la fase perimenarcale o immediatamente postmenarcale, sviluppa una situazione di oligomenorrea associata ad un pattern ormonale con livelli di testosterone notevolmente più elevati. In queste pazienti con iperfunzionalità androgena, i livelli di score dell'irsutismo sono più elevati.
La seconda situazione di iperandrogenismo surrenalico è l'iperplasia surrenale congenita o CAH (Congenital Adrenal Hyperplasia). La forma classica è determinata dal deficit della 21-idrossilasi (21-OH) e si manifesta con virilizzazione precoce, genitali ambigui, deficit di cortisolo e disturbi elettrolitici. La diagnosi è generalmente precoce.
La forma non classica del deficit dell'enzima può manifestarsi in epoca peripuberale o postpuberale con la comparsa di uno o più sintomi quali irsutismo, disturbi mestruali fino all'amenorrea, acne, alopecia, clitoridomegalia, infertilità. Tale forma di CAH, detta "ad insorgenza tardiva" contribuisce per il 3-7% alle cause di irsutismo nella popolazione adulta.
Tra le altre cause, i tumori virilizzanti del surrene colpiscono di solito la prima infanzia con prevalenza per il sesso femminile e, rappresentano forme in cui l'irsutismo evolve rapidamente raggiungendo in pochi mesi una notevole estensione accompagnandosi a segni di virilizzazione. I disturbi mestruali, amenorrea ovvero oligomenorrea grave sono spesso presenti.
Nella sindrome di Cushing l'irsutismo rappresenta una delle manifestazioni di minor valore diagnostico nel contesto di un quadro clinico patognomonico. Tuttavia, raramente possono esistere situazioni con segni clinici caratteristici meno eclatanti, per cui di fronte ad una paziente colpita da irsutismo è opportuno escludere tale sindrome come possibile causa.
Per quanto concerne di disordini gonadici nella maggior parte dei casi si tratta di forme di iperandrogenismo funzionale (FOH) reversibili, poiché in fase adolescenziale è difficile rilevare una reale sindrome dell'ovaio policistico (PCOS), tipica invece della donna adulta giovane.
Circa il 30% della popolazione adolescenziale con cicli irregolari è affetta da iperandrogenismo LH dipendente le cui caratteristiche cliniche sono rappresentate da valori elevati del LH (ampie e frequenti pulsazioni con ritmo circadiano desincronizzato), livelli elevati di androgeni, ovaie aumentate di volume e microcistiche, irsutismo, acne e sovrappeso. In questi soggetti non è infrequente la scomparsa delle caratteristiche cliniche durante il processo maturativo adolescenziale con la possibilità di conversione dei cicli anovulatori in cicli ovulatori e la riduzione dei livelli di androgeni entro il range di normalità. Tuttavia, è possibile che queste forme funzionali rappresentino un passaggio verso l'ovaio policistico.
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) rappresenta una delle più frequenti endocrinopatie e, probabilmente, la più frequente causa di infertilità nelle donne in età fertile. E' responsabile di circa il 75% dei casi di infertilità da anovulatorietà, è presente nel 30-40% dei casi di amenorrea secondaria e nel 85-90% di quelli con oligomenorrea e la sua prevalenza è stimata essere del 5-10%. La PCOS secondo i criteri stabiliti dalla Consensus Conference della NIH (1992) è caratterizzata dall’associazione d'iperandrogenismo, anovulazione cronica con secondari disturbi mestruali (oligomenorrea o amenorrea) ed infertilità. Si tratta di una diagnosi di esclusione di altre patologie quali le forme non classiche di deficit della 21-idrossilasi, l’iperprolattinemia e tumori androgeno-secernenti. La sindrome si può manifestare anche in assenza del reperto ecografico di ovaio policistico ovvero le alterazioni morfologiche ovariche di tipo policistico possono essere presenti in donne senza alcun disturbo ovulatorio o iperandrogenismo. I sintomi possono includere irsutismo di grado medio o grave, galattorrea, acanthosis nigricans e resistenza insulinica. E' stata dimostrata una produzione eccessiva di androgeni sia da parte dell'ovaio sia del surrene, sebbene la maggior parte degli androgeni sia di origine ovarica (stroma). L'iperandrogenismo ovarico spesso si accompagna ad elevazione sierica del LH o del rapporto LH/FSH, aumentata ampiezza dei picchi secretori di LH, iperrisposta di LH alla stimolazione con LHRH. Gran parte degli androgeni prodotti sono convertiti perifericamente ad estrone da parte dell'enzima aromatasi, l'estrone per effetto feedback sull'ipofisi induce il rilascio del LH sostenendo così un circolo vizioso. Accanto a questo meccanismo, è stata osservata un'aumentata attività dell'enzima 5-alfa-reduttasi che si traduce in un'incrementata conversione periferica del T in DHT e nella manifestazione clinica dell'irsutismo. Secondo alcuni Autori è possibile ipotizzare come la PCOS sia secondaria ad una disregolazione ovarica e surrenalica (aumentata attività della P450 17-alfa-idrossilasi e 17,20-desmolasi) che si verifica in età puberale; tale disregolazione sarebbe anche responsabile della comparsa dell'adrenarca prematuro, che rappresenterebbe così il sintomo iniziale di un'alterazione destinata a sfociare in età adulta in una PCOS. Una condizione che frequentemente si associa a PCOS è l'insulino resistenza. Il riscontro di obesità in queste pazienti accentua il problema in quanto peggiora il grado di insulino resistenza e diminuisce i livelli di SHBG. Il meccanismo tramite il quale l'iperinsulinemia determina iperandrogenismo ovarico potrebbe essere legato all’attivazione dei recettori per l’IGF-1, cui l’insulina si lega e che in sinergia con LH potrebbero stimolare la produzione di androgeni.
Caratterizzata dall'associazione di iperandrogenismo, insulino-resistenza ed acanthosis nigricans, è la hair-an syndrome, dovuta a mutazioni puntiformi del gene che codifica per il recettore insulinico, ovvero, nel tipo Kahn B, alla presenza di anticorpi circolanti anti-recettore insulinico. Le pazienti affette da queste forme sono spesso virilizzate e l’istologia ovarica è caratterizzata da grave ipertecosi dello stroma.
Rare cause di iperandrogenismo sono i tumori ovarici virilizzanti che si caratterizzano per la tipica predominanza della secrezione di androstenedione (A) rispetto al T. La secrezione urinaria dei 17-chetosteroidi (17-KS) è mediamente elevata. Le neoplasie ovariche che ricorrono in età adolescenziale sono tumori a cellule germinali ed occasionalmente tumori dello stroma ovarico secernenti steroidi.
Vanno infine ricordate le cause periferiche di irsutismo.
La forma idiopatica è caratterizzata dalla presenza di irsutismo e/o acne senza altri segni di iperandrogenismo e senza una causa specifica. Le pazienti presentano normali livelli ematici di androgeni sia basali sia dopo test dinamici della funzionalità surrenalica e ovarica, cicli mestruali regolari e normale funzione riproduttiva. In alcune donne con irsutismo idiopatico è stata dimostrata un'elevazione del testosterone libero (FT) e dei metaboliti del T e del DHT, ma in questi casi è ipotizzabile un'iperattività dell'enzima 5-alafa-reduttasi. Recentemente è inoltre stata dimostrata in queste pazienti una preferenziale metilazione dell’allele lungo del recettore per gli androgeni e maggiore espressione dell’allele corto e più attivo, che porterebbe quindi ad una maggiore sensibilità periferica agli androgeni.
In alcune pazienti l'irsutismo si associa ad iperprolattinemia. Approssimativamente il 40% delle pazienti con iperprolattinemia manifesta eccesso di androgeni e sono caratteristici elevati livelli plasmatici di FT, talora accompagnati da aumentate concentrazioni di DHEA e della sua forma solfata. Queste alterazioni sono il risultato dei molteplici effetti dell'iperprolattinemia sul metabolismo steroideo; tuttavia il meccanismo attraverso il quale viene indotto l'iperandrogenismo non è chiaro. L'aumento dei livelli di FT è dovuto alla riduzione della SHBG e, probabilmente, all'alterata funzionalità della 5-alfa-reduttasi, all'incrementata produzione di 17-idrossiprogesterone (17-OHP) e A da parte dei surreni in seguito allo stimolo dell'ACTH in una condizione di normale efficienza degli enzimi surrenalici. Molti di questi cambiamenti vengono normalizzati con il test di soppressione al desametasone (DEX), mentre il fatto che la somministrazione di bromocriptina determini la normalizzazione della prolattina ma non degli androgeni circolanti, suggerisce come l'associazione delle alterazioni ormonali possa essere casuale.
Dal punto di vista eziopatogenetico si può comunque stimare che l'80% sia rappresentato da forme funzionali di patologia ovarica; le forme idiopatiche siano il 15% mentre quelle in cui l'alterazione ovarica si accompagna ad acanthosis nigricans costituiscano il 2-4%. L'iperplasia surrenalica congenita ad insorgenza tardiva presenta un'incidenza del 1-2%, mentre rari sono i tumori ovarici e le altre cause.
Gli esami di funzionalità endocrina sono rivolti ad accertare l'aumentata secrezione androgena e l'origine della stessa. Il parametro più semplice è rappresentato dal FT che se risulta normale indica una forma idiopatica. Il FT o comunque il dosaggio basale di altri androgeni (DHEAS, A) rappresenta quindi il primo step nell'iter laboratoristico che, se necessario, dovrà poi proseguire presso un centro di secondo o terzo livello per l'esecuzione di test dinamici utili per dimostrare un'origine surrenalica ovvero ovarica della patologia (test all'ACTH e con analogo del GnRH rispettivamente). Occorre sempre eseguire una valutazione morfologica di pelvi e surrene tramite ecografia e/o TC o RMN di pelvi ed addome. E’ necessario però porre molta attenzione all'interpretazione dell'ecografia pelvica perché le cisti che possono essere rilevate nel 99% dei casi sono di tipo funzionale e non da PCOS.
L'approccio terapeutico può essere di tipo medico ovvero di tipo cosmetico. La terapia cosmetica sarà da riservarsi alle forme idiopatiche e potrà essere di completamento in quelle forme che richiedono una terapia farmacologica. Esistono numerosi farmaci che presentano una buona efficacia sull'irsutismo, ma ognuno di essi può avere un diverso impiego a seconda dell'origine della sintomatologia clinica e della loro azione, che può coinvolgere sia la soppressione ovarica sia quella surrenalica, oppure bloccare l'azione degli androgeni a livello della cute tramite blocco dei recettori o inibitori della 5-alfa-reduttasi. In linea generale, di fronte ad una situazione di patologia funzionale ovarica sono da utilizzare i contraccettivi orali ed il ciproterone acetato (CPA) + etinilestradiolo, mentre nel caso dell'ovaio policistico oltre al già citato CPA + etinilestradiolo oggi sono preferiti gli analoghi del GnRH (nafarelina, leuprolide, buserelina) in combinazione con lo spironolattone. Nel caso di iperandrogenismo surrenalico devono essere somministrati i glucocorticoidi. Nella forma idiopatica, infine, oltre allo spironolattone, i due farmaci più moderni usati negli ultimi 6-8 anni sono rappresentati dalla flutamide e dalla finasteride che agiscono a livello dei recettori periferici degli androgeni. Alla somministrazione degli antiandrogeni, che possono essere teratogeni, deve essere associata quella di un contraccettivo. Poiché il farmaco agisce sulla fase di crescita del follicolo pilifero sessuale occorrono almeno sei mesi per notare un miglioramento dell’irsutismo, specialmente se contemporaneamente non viene associata una tecnica cosmetica di rimozione del pelo. Se dopo sei mesi di terapia medica non si verificano miglioramenti ovvero permane un irsutismo inaccettabile, si può aumentare la dose del farmaco ovvero cambiare principio farmacologico. La migliore indicazione sull’efficacia di un trattamento è rappresentata dalla riduzione dei tempi che la paziente necessita per la rimozione cosmetica della peluria. Occorre infine menzionare la metformina perché, in molte forme in cui coesistono un ovaio policistico ed una situazione d'iperinsulinismo, si sono ottenuti degli ottimi risultati non soltanto come miglioramento della situazione glicemica, ma anche come miglioramento del grado d'irsutismo.
La terapia dell’irsutismo è ben identificabile se si è riscontrata una chiara causa dell’eccesso androgeno (per esempio terapia con steroidi nella CAH). Nella maggior parte dei casi non è però un problema di facile risoluzione in quanto la presenza di irsutismo, pur rappresentando un problema per la paziente, non è correlato al riscontro di un'alterazione della secrezione androgena. Quindi è indicato valutare ogni caso singolarmente e concordare con la paziente l’eventuale inizio di una terapia, dopo aver preso in considerazione gli effetti collaterali indesiderati e gli eventuali rischi immediati e futuri.
Barbara Predieri, Simona Milioli, Lorenzo Iughetti

domenica, giugno 18, 2006

Adolescenti e rischio: esperienze di prevenzione nella scuola

Negli ultimi trenta anni in Italia si è ridotta in modo consistente la mortalità da incidente nella popolazione generale grazie all'introduzione di fattori protettivi (ad es. automobili più sicure). Tuttavia, questa inversione di tendenza non ha riguardato la popolazione tra i 15 e i 24 anni di età. Numerose ricerche e statistiche segnalano la crescente tendenza dei giovani ad esporsi a situazioni rischiose, spesso fonte di incidenti: aumentano i praticanti degli sport "estremi" (vedi il salto con l'elastico, il parapendio o l'uso sconsiderato dello snow-board, che sta provocando un'impennata degli infortuni sulle piste da sci) ma anche i partecipanti (e gli spettatori) alle corse automobilistiche illegali nelle città, i "tagger" e i "writers", cioè gli adolescenti che graffittano i muri, e i "bombers", impegnati in atti vandalici e nella sfida a vigilantes e forze dell'ordine. Infine è segnalata una ripresa delle infezioni da HIV fra i giovani eterosessuali, causate dalla tendenza ad esporsi a rapporti sessuali non protetti, degli attacchi al corpo, come certi tipi di piercing; mentre sono in aumento, come indicano gli ultimi rapporti Iard, l'uso di alcool e droghe.
Ci si chiede: perché i giovani non rispondono alle misure di sicurezza che sono state introdotte, tenendo conto di tutte le campagne informative - volte proprio a loro - che promuovono l'uso del casco, del profilattico o l'astensione dalla droga? Si può imputare questa "non risposta" esclusivamente al fatto che i ragazzi siano dei temerari che 'amano il rischio', come troppo spesso recita lo stereotipo ricorrente? Capire cosa significa per un giovane rischiare in generale e in particolare il rischio di incidente è la premessa per poter rispondere alla seconda domanda fondamentale e cioè: 'cosa possiamo fare?'. Con questi obiettivi la nostra cooperativa è stata impegnata in alcune ricerche-intervento coordinate dalla prof.ssa Paola Carbone dell'Università "La Sapienza" di Roma. La metodologia che abbiamo utilizzato è stata quella dei focus groups guidati da uno psicoterapeuta esperto sia nelle dinamiche gruppali che adolescenziali. I focus si sono tenuti nelle scuole medie primarie e secondarie, con gruppi-classe costituiti da 20-25 alunni. La scuola, infatti, e in particolare la classe è a nostro parere uno dei contesti privilegiati per la trattazione delle tematiche sul rischio e, in genere, per il lavoro affettivo sulla crescita e rappresenta una risorsa preziosa per lavorare sugli affetti adolescenziali e per aprire nuove capacità di pensare le emozioni. Il lavoro con il gruppo-classe offre la possibilità di tracciare una memoria gruppale e, progressivamente, anche una memoria istituzionale di quanto è stato appreso. Naturalmente perchè l'esperienza lasci una traccia nella scuola è necessario che l'intervento abbia una certa durata e coinvolga anche i docenti e i genitori, entrando a far parte del bagaglio culturale dell'istituzione stessa.
I focus groups hanno previsto momenti di riflessione individuale, mediati da questionari autosomministrati che chiamavano in causa i singoli partecipanti e discussioni gruppali, in cui i punti di vista individuali venivano confrontati e rivalutati. In sintesi, abbiamo costruito dei percorsi che consentissero ai partecipanti di compiere tre fondamentali movimenti: - riflessione individuale: non è infatti detto che i giovani si siano già esplicitamente interrogati sul rischio e le sue diverse implicazioni; - confronto con i pari: il gruppo consente ai singoli partecipanti di riconoscersi dialetticamente nelle differenze ma anche di dire senza dire, utilizzando, grazie all'identificazione, il punto di vista e l'influenza altrui; - comunicazione con l'adulto: il conduttore del gruppo non è colui che interroga, che valuta o che consiglia ma piuttosto una presenza che facilita l'espressione e lo scambio e contiene l'ansia, garantendo l'articolazione dei singoli contributi in un percorso.

La parola agli adolescenti
Gli adolescenti che abbiamo incontrato sembrano configurarsi il 'rischio' in modo polimorfo e sfumato: "Il rischio non è altro che un pò tutto assieme, tante cose diverse". Il 'rischio' evoca nella mente dei ragazzi la 'sfida', che rimanda anche alla trasgressione, all'eccitazione e al coraggio ma anche il 'pericolo', e dunque la paura, il vuoto, la fatalità. Il ‘rischio’ si colloca tra la riflessione senza azione e l'azione senza pensiero; tra il controllo che rende gli eventi imprevedibili e l'assenza di controllo, che espone all'imprevedibilità; tra la banalità e l'eccezionalità, tra attività e passività; tra la dimensione fisica (corpo) e la dimensione psicologica (mente); tra il presente e il passato; tra il piano concreto e il piano interpersonale.
Al di là delle contrapposizioni, nelle rappresentazioni della maggior parte dei ragazzi emerge la comune consapevolezza che la tendenza a rischiare può essere motivata da "qualcosa di personale", cioè qualcosa che sta dietro la fenomenologia dell'evento. Il rischiare dunque appare nella mente dei ragazzi non fine a se stesso ma fortemente determinato da motivazioni sottostanti. Anche se alcuni appaiono più protesi verso l'autoaffermazione e la differenziazione ("il rischio è ciò che esula dalla mia volontà") la tendenza prevalente è una spinta a rischiare per ottenere legittimazione e 'accreditamento' da parte degli altri, in special modo dal gruppo dei pari. Infatti "si rischia di più quando si è in compagnia". I ragazzi utilizzano il gruppo dei pari come prevalente sistema di riferimento per l'adozione o l'evitamento dei comportamenti rischiosi ma esprimono anche il bisogno di adulti competenti capaci di sostenerli nel loro sforzo di orientarsi tra scelte diverse e di coinvolgersi con loro nell'elaborazione del significato delle esperienze. Nell'esperienza dei ragazzi inoltre i diversi comportamenti rischiosi tendono ad intrecciarsi e a influenzarsi reciprocamente, come se il rapporto fosse più con il rischio in quanto tale che con i comportamenti. Alla luce di questa prospettiva la determinante principale per la valutazione della 'rischiosità' di un comportamento sembra essere, piuttosto che il comportamento in sé, il contesto all'interno del quale viene adottato, l'esito dell'azione, oppure il grado di motivazione personale. Il termine rischio suscita nei ragazzi immagini contrapposte: una serie di rappresentazioni sembrano orientate verso una valutazione positiva; altre, invece, sottolineano gli esiti infausti del difetto di valutazione. Con questa ambivalenza i ragazzi sembrano rispecchiare un'incertezza diffusa, insita nella nostra cultura e ben rappresentata dalla coppia antitetica di due noti proverbi: "chi non risica non rosica" e "tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino"; ma se in tutti noi è così profondamente radicata l'immagine ambivalente del rischio, c'è proprio da chiedersi che senso possa avere il messaggio, ribadito da manifesti e slogan: "Ragazzi, non rischiate!".
Al di là delle differenze individuali, dalle discussioni in gruppo sono emersi aspetti comuni, su cui si potrebbero fondare utilmente le strategie preventive: - Le radici del comportamento a rischio sono profonde: non si rischia per disinformazione. - La valutazione delle conseguenze negative di un comportamento rischioso è condizionata da due caratteristiche fasi specifiche: a) Il vissuto del tempo. È più urgente conformarsi alle aspettative del gruppo che considerare le conseguenze dei comportamenti: la situazione attuale, l' "ora", ha molto più rilievo del futuro, "il dopo"; b) Il vissuto del corpo. Le conseguenze di alcuni comportamenti sulla salute o sull'integrità somatica sono largamente sottovalutate; è più importante essere come gli altri che sentirsi bene: emerge una scissione tra 'essere-con' e 'ben-essere'. - Tutto ciò che suona come critica, minaccia o indottrinamento non facilita l'introiezione di un modello di autoprotezione e può addirittura essere controproducente (le campagne preventive vengono equiparate alla pubblicità e ritenute non credibili). - Il confronto con il gruppo (che non offre soluzioni ma pone domande) è stato considerato l'unico vero fattore protettivo contro i comportamenti a rischio che "scattano" in modo istintivo e automatico.

Per concludere
L'obiettivo che è ragionevole porsi non è l'abolizione di tutti i comportamenti a rischio ma il raggiungimento di una visione equilibrata del rapporto con il rischio. Pensiamo che in adolescenza la prevenzione utile sia quella di attivare riflessioni e nuove rappresentazioni: una situazione stimolo a favore del processo di soggettivazione. In questa prospettiva non ha tanta importanza l'argomento (droga, incidenti...) su cui è focalizzato l'intervento; il vero focus della prevenzione è la persona dell'adolescente e la difficoltà fase-specifica di appropriarsi della sua vita e di riconoscersi come soggetto delle sue azioni. Abbiamo visto con quale senso di ineluttabile fatalità vengono valutati dai ragazzi i diversi rischi; un senso di fatalità che ci parla del rischio fondamentale che corre ogni adolescente: quello di vivere la propria vita nell'intima convinzione di non essere lui il soggetto, il responsabile, l'autore, il proprietario della sua vita stessa.
Si tratta di una situazione 'normale', perché legata al processo di maturazione ma anche pericolosissima, per chi, non più bambino, ha in realtà tra le mani i comandi della sua vettura e che non può essere corretta da tutti i consigli e le raccomandazioni che noi adulti vorremmo rivolgere ai giovani, messaggi il cui risultato paradossale è quello di confermare il destinatario nell'idea infantile - e rischiosa - di appartenere ai genitori e non a se stesso.
Non avendo progettato una verifica dei nostri interventi non possiamo dire con precisione ciò che è cambiato nel punto di vista dei ragazzi. Possiamo dire però che i comportamenti rischiosi visti dalla parte dei giovani non ricalcano quell'immagine di piacere nella sfida e nella trasgressione con cui noi adulti tendiamo a rappresentarci il fenomeno. Prima di tutto di 'piacere' si è parlato pochissimo, mentre molto si è detto di vuoto, paura, pericolo, solitudine e follia. Secondo: il rischio per eccellenza, quello a cui pensano subito e che li preoccupa costantemente non è la droga o l'incidente ma la perdita del consenso dei coetanei; pur di evitare questo rischio estremo vale la pena di esporsi a tutti gli altri, seppure con ansia e paura. Terzo punto: di questo rischio estremo, quello di perdere i rapporti importanti, non si parla né facilmente, né direttamente. Della dipendenza dal gruppo non si può parlare senza rischiare la vergogna di far riemergere quel bambino bisognoso che si pensava di aver definitivamente eliminato. Ultimo, ma non ultimo: ai ragazzi piacerebbe parlare seriamente delle cose che seriamente li preoccupano ma tra loro non ci riescono perché l'ansia si trasforma velocemente in imbarazzo, vergogna e allora il ricorso alla battuta, alla risata appare un'onorevole via d'uscita. Che nel gruppo la parte seria la sostenga l'adulto è un grande sollievo perché consente un utilizzo più fluido dei meccanismi di difesa e, attraverso l'identificazione, di sperimentare per interposta persona la propria serietà. I ragazzi sono molto più interessati a parlare tra di loro che con noi ma la nostra presenza, se facilita il loro dialogo, è gradita.
Emilio Masina

domenica, giugno 11, 2006

Nutrizione e ormoni: influenze reciproche

Tra i fattori che consentono una crescita ottimale del bambino vi sono le caratteristiche, quantitative e qualitative, della nutrizione, come viene sempre più confermato da studi condotti su popolazioni in condizioni di malnutrizione e in gruppi di bambini obesi. I rapporti fra crescita e nutrizione sono tali che in epidemiologia si utilizzano frequentemente ricerche sulla crescita per valutare lo stato di nutrizione di una popolazione.

Fattori di promozione
I fattori che promuovono la crescita agiscono con meccanismo endocrino, paracrino, iuxtacrino, e autocrino e la loro azione viene regolata con modalità che agiscono sui fattori stessi, sulle proteine leganti e sui recettori specifici. Gli ormoni che hanno un ruolo fondamentale nella regolazione della crescita, principalmente il GH, gli ormoni tiroidei e l'insulina, agiscono sulla disponibilità dei nutrienti e modulano l'attività dei trasportatori dei nutrienti e di vari enzimi. Variazioni della nutrizione possono modificare la disponibilità e l'attività di proteine cellulari o promuovere la sintesi di nuove proteine. In molti tessuti adulti, nei periodi nei quali vi è una parità tra calorie introdotte e calorie consumate, le attività anaboliche e quelle cataboliche sono in equilibrio; durante il periodo della crescita invece l’attività anabolica deve essere maggiore di quella catabolica. Dal momento che per ogni attività anabolica è necessaria energia ne consegue che la crescita è possibile solo in condizioni di bilancio energetico positivo. Lo stato di nutrizione influenza l'espressione dei recettori del GH, i livelli plasmatici dell'IGF-1 e i livelli plasmatici delle proteine leganti l'IGF-1, IGFBP-1 e IGFBP-3.

Malnutrizione e recettori del GH
Nella malnutrizione i recettori epatici del GH sono down-regulated mentre quelli muscolari sono up-regulated determinando una riduzione della produzione di IGF-1 e di IGFBP-3 e un incremento dell'azione metabolica diretta dell'ormone che tende a ridurre l'utilizzazione del glucosio ed aumentare quella dei grassi. Il digiuno determina rapidamente una riduzione dei livelli plasmatici di IGF-1, per una ridotta espressione del relativo gene a livello epatico e in altri tessuti, e l'incremento dei livelli plasmatici di IGFBP-1 per la ridotta disponibilità di glucosio all'interno delle cellule. Tutte queste modificazioni determinano alla fine un rallentamento della velocità di crescita.

Prima fase di crescita
La vita fetale e i primi anni di vita, in modo particolare il primo anno, sono quelli nei quali la crescita è più sensibile alle variazioni dello stato di nutrizione, per esempio nei primi mesi di vita circa il 30% del dispendio energetico è destinato all'accrescimento somatico. La crescita fetale è determinata da fattori genetici e fattori esogeni, tra questi ultimi il più importante è sicuramente la nutrizione che è influenzata principalmente dalle dimensioni e dalle condizioni della placenta e dal flusso ematico a livello dell'utero. La condizione di ridotta nutrizione durante la gravidanza anche se non determina un basso peso alla nascita può dare conseguenze a lungo termine come una ridotta crescita dell'utero nelle bambine, causa a sua volta di neonati di basso peso. Nel periodo postnatale i tessuti crescono in una sequenza a tre fasi: la prima fase, che corrisponde ai primi 2-3 anni di vita, è caratterizzata da un incremento del numero delle cellule, nella seconda fase le cellule aumentano di numero e di volume, nella terza vi è solo un ulteriore incremento di volume. La prima fase è molto critica, le cellule infatti possono proliferare se le condizioni "ambientali", compresa la nutrizione, sono favorevoli; se la proliferazione cellulare subisce un rallentamento, il successivo aumento di volume non è in grado di compensare completamente lo svantaggio accumulato.

Crescita differenziata
La malnutrizione, in qualsiasi momento della crescita si verifichi, tende ad accentuare il normale fenomeno della crescita differenziata per la quale ogni organo o apparato cresce ad una propria velocità. Così durante la malnutrizione la crescita dei denti è superiore a quella delle ossa che crescono meglio dei tessuti molli, dei muscoli e del tessuto grasso, la velocità della maturazione scheletrica rallenta meno della velocità di crescita staturale, mentre la mielinizzazione cerebrale è meno colpita della crescita di tutto l'encefalo, e alla pubertà lo sviluppo degli organi sessuali è meno depresso rispetto alla crescita degli altri organi e tessuti.
Tutte queste modalità hanno il fine di mettere l'individuo in condizione di migliorare prima possibile il proprio stato di nutrizione. In generale se la malnutrizione insorge precocemente l'organismo colpito ha organi più piccoli e con meno cellule, ma, in proporzione alla taglia, sono presenti un grosso encefalo e ossa grosse e corte, cuore e reni proporzionati alla taglia e ridotte masse muscolari producendo un aspetto caratteristico che nei paesi in via di sviluppo, nelle bidonville di grandi metropoli non è infrequente vedere.
Luca Tafi