venerdì, agosto 11, 2006

La musicoterapia

L’uomo si è sempre rivolto alla musica come ad un mezzo di comunicazione col mondo invisibile. La sua natura inafferrabile, misteriosa e soprannaturale le conferiva il potere di guarire o di fare del male, di sublimare le emozioni o di risvegliare passioni istintive.
In tutte le civiltà la musica è stata ritenuta di origine divina; ovunque è stata considerata non una creazione dell’uomo, ma di un essere soprannaturale: l’uomo ha attribuito alla musica lo stesso potere che attribuiva agli dei, e filosofi, preti, medici, scienziati, pedagogisti, psicologi e musicisti hanno studiato e spesso utilizzato le possibilità terapeutiche della musica.
La musicoterapica, infatti, è una disciplina in grado di canalizzare l’energia che si sprigiona dalla musica nella educazione di bambini e adulti, nel trattamento e riabilitazione di persone che soffrono di disturbi fisici, mentali, emotivi. Il suo valore terapeutico non è necessariamente in relazione con il tipo di musica, né con il livello di esecuzione. Gli effetti curativi (o eventualmente dannosi) sono legati direttamente all’influenza del suono sull’uomo.

L’atteggiamento dei filosofi greci è quello che si avvicina di più ad una visione scientifica della musicoterapica: essi pensavano che l’effetto prodotto sull’uomo fosse dovuto a certe combinazioni matematiche oggettivamente misurabili e svincolate da interpretazioni soggettive.
Nel Rinascimento, con lo sviluppo dell’individualismo, la musicoterapia divenne una relazione umana tra due persone: il paziente ed il musicista che comunicano tra loro attraverso la musica.
Il musicoterapista moderno è prima di tutto un musicista che opera sulla base della sua comprensione della musica e degli effetti che questa può avere sulla mente, sul corpo e sulle emozioni, anche attraverso la conoscenza del fenomeno del transfert che si verifica quando il paziente proietta sul terapista i propri vissuti emotivi.

I suoni sono importanti nella vita di ogni individuo a partire dalla vita fetale. Il feto risponde in modo riflesso a stimoli sonori, primo fra tutti il battito cardiaco, trasmesso dall’aorta addominale materna, e, quindi, al rumore del flusso ematico nei vasi pelvici, ai movimenti muscolari e respiratori, ai rumori dell’apparato digerente e alla voce della madre; i rumori esterni, se superano gli 85 db, giungono nella cavità uterina ovattati. Dopo la ventiseiesima settimana di vita intrauterina, i suoni acuti generano nel feto uno stato di agitazione, lo fanno trasalire e sbattere le palpebre. Si comprende che egli percepisce la musica, poiché lo possiamo vedere orientarsi verso la sorgente di un brano musicale conosciuto.

Ritornando alla musicoterapica, notiamo come le risposte psicologiche a un’esperienza musicale dipendano dalla capacità di comunicazione e identificicazione dell’ascoltatore e del musicista. Le immagini, le associazioni e l’espressività, che possono essere suscitate dalla musica, nascono da ciò che esiste già nell’individuo, ma che si rivela proprio attraverso l’esperienza musicale.
Comunemente si afferma che “la musica è un mezzo di comunicazione”. In questa affermazione si trova il valore terapeutico della musica, in quanto, spesso, la malattia rappresenta un’interruzione del processo comunicativo o l’impossibilità che tale processo inizi il suo sviluppo nell’infanzia.La malattia sia fisica sia mentale genera uno stato di isolamento e insicurezza e pregiudica i contatti ed i rapporti normali con l’ambiente.


La musica può servire da ponte fra il reale e l’irreale, il conscio e l’inconscio e questa sua caratteristica è stata usata in molte situazioni: una seduta di musicoterapia che preceda una di psicoterapia può favorire nel paziente l’espressione dei propri vissuti emotivi. La ninna-nanna favorisce il passaggio dalla veglia al sonno, o può riportare alla luce un ricordo da lungo tempo sopito.
Se la musica può aiutare chi ascolta ad esplorare e capire le proprie emozioni attraverso un processo psicologico, l’attività musicale può aiutare chi la esegue ad acquisire o a sviluppare una conoscenza di sé e degli altri. Qualunque sia il grado di abilità e il livello di esecuzione, l’interprete si trova ad agire nell’ambito di una realtà oggettiva, deve rispondere ad una sfida , affrontare una prova. Deve acquisire mezzi tecnici di espressione, obbedire a determinate regole, sviluppare rapporti interpersonali validi, comportarsi in modo socialmente corretto. Far musica è un’esperienza che va condivisa con altre persone e che non si può praticare e godere senza conoscenza di sé e capacità di comunicare. L’esperienza musicale si può ritenere benefica alla crescita emotiva e fisica del bambino: è, infatti, di grande aiuto per lo sviluppo dei processi percettivi e motori e, se praticata all’interno di un gruppo musicale, può favorire la socializzazione.

Tra i metodi usati in musicoterapia troviamo l’improvvisazione ritmica tonale spontanea, sperimentata da un individuo o da un gruppo, chiamata anche “musica estemporanea” o “improvvisazione collettiva” e per la quale non si richiede nessuna specifica abilità musicale. Il singolo o i membri di un gruppo si possono abbandonare liberamente al piacere di suonare uno strumento, senza bisogno di alcuna tecnica specifica, ma esprimendo le proprie emozioni in maniera diretta, così come avviene nella terapia artistica. L’improvvisazione facilmente assume un ritmo melodico e acquisisce una propria logica che permette all’individuo una esperienza di consapevolezza ed affermazione del Sé.
Il paziente in questo processo può riuscire a superare la timidezza, a comunicare con gli altri, a vincere la paura e a rivelare un tratto della propria personalità. Può trovare un ponte tra il mondo della fantasia e l’esperienza concreta attraverso uno strumento con il quale spesso si identifica.
Bambini autistici o gravemente ritardati spesso accettano questo mezzo espressivo non verbale come unica modalità comunicativa che nel tempo prende forma e diviene un mezzo d’espressione del Sé. Il terapista stesso può improvvisare una musica di sottofondo adatta allo stato d’animo del paziente e al ritmo dei suoi movimenti e li asseconda senza imporre o suggerire nulla attraverso la musica o il linguaggio. I bambini gravemente ritardati spesso vivono questa situazione come protettiva, contenitiva e organizzante l’espressione dei propri vissuti. La musica in questi casi può aumentare o sviluppare la capacità di ascolto e di ritenzione di semplici sequenze sonore, sviluppare la capacità percettiva e l’abilità manipolatoria, aiutare a capire cause ed effetti elementari. Le sedute di musicoterapia che più facilmente favoriscono questi processi sono quelle in cui il soggetto può dimostrarsi l’agente creativo dell’esperienza, può produrre o riprodurre le sequenze sonore.
La musicoterapia quindi ha una triplice valenza – clinica, ricreativa, educativa – in base alla quale acquista anche il valore di strumento valido per il reinserimento sociale del paziente nella comunità.

Nella mitologia e nella storia della musicoterapia emergono i nomi di David, il suonatore di cetra, e del cantante Farinelli. Quando Saul, uomo di origini umili, divenne re d’Israele sviluppò una megalomania paranoide con ricorrenti episodi di malinconia e incontrollabili attacchi di collera. David era invece un guerriero forte e coraggioso, uomo giusto ed incapace di odiare e abilissimo suonatore di cetra. I ministri del re, preoccupati dello stato di salute di Saul, fecero chiamare David, il quale, con il suono del suo strumento, riuscì a migliorare lo stato di salute e il comportamento del re. Saul nominò David suo scudiero e, ogni volta che ne sentiva il bisogno, richiedeva la musica della cetra di David; questa, probabilmente insieme alla personalità del suo scudiero, dimostrava il suo effetto terapeutico.
Il cantante Farinelli, nato nel 1705, era la più famosa voce bianca italiana del tempo, conosciuto per le sue trionfali esecuzioni di opere liriche, ed era carico di onori e ricchezza. Sembrava, comunque, sempre alla ricerca della perfezione e di uno nuovo stile. Nel 1737, durante una tournée in Europa, andò in Spagna, arrivando a Madrid nel periodo in cui il re Filippo V soffriva di una grave malinconia. La regina pensò che forse la musica potesse far uscire il re dal suo stato di prostrazione ed invitò Farinelli a cantare in una stanza attigua a quella del re. Il re sentì la musica e ne fu così toccato che uscì dal suo stato abulico, mandò a chiamare il cantante, lo ringraziò e riprese le sue funzioni reali. Farinelli fu assunto come cantore personale del re e per questo rinunciò alla sua brillante carriera.
Lucia Tafi