martedì, febbraio 07, 2012

Obesità e circonferenza addominale

Si parla sempre più spesso di sovrappeso e obesità, anche perché i dati ci dimostrano che siamo in presenza di un vero fenomeno pandemico, almeno nei paesi industrializzati, Italia compresa.
Nel sovrappeso e, ancor più nella obesità, ciò che aumenta nell'organismo è la massa grassa, il tessuto adiposo, che si accumula prevalentemente nell'addome e alla radice degli arti.
Un metodo semplice, anche se grossolano, per verificare il grado di adiposità di un soggetto è
il calcolo del BMI (indice di massa corporea). La formula per il calcolo del BMI e le relative tabelle con gli standard di riferimento si trovano ovunque: opuscoli, manifesti affissi nelle farmacie, web ecc, e, se da una parte questo è un fenomeno positivo perché ogni cittadino può da solo verificare quale è il suo BMI e come questo si colloca in relazione agli standard di riferimento, dall'altra parte il valore del BMI, in casi particolari, può essere fuorviante, creando apprensione senza un reale motivo. Il caso classico è quello di chi pratica attività sportiva intensa con uno sviluppo marcato delle masse muscolari. In questo caso il BMI può risultare elevato (il tessuto muscolare ha un peso specifico superiore a quello del tessuto adiposo), nettamente superiore ai limiti di normalità, senza che l'individuo presenti un incremento della massa grassa. Questo errore di valutazione è particolarmente pericoloso quando viene commesso sugli adolescenti, perché può innescare dinamiche che possono indurre ad un comportamento “simil anoressico”.
Per ovviare alla fallacità del calcolo del BMI si può ricorrere alla misurazione della circonferenza addominale, questa infatti risente positivamente della presenza di masse muscolari sviluppate e misura in modo abbastanza preciso l'entità del grasso viscerale addominale che è il più dannoso per la salute, poiché correla con la sindrome metabolica (dislipidemia, ipertensione arteriosa, glicemia a digiuno > 110 mg/dl) e con il rischio cardiovascolare. La misurazione deve essere fatta a livello dell'ombelico, con il soggetto in posizione eretta, le braccia abbandonate e dopo una breve espirazione.
Anche per questa misura esistono gli standard di riferimento (tab), ma per una valutazione precisa è necessario correlare il percentile della circonferenza addominale con il percentile dell'altezza e, in linea di massima, il percentile della circonferenza addominale non deve essere superiore a quello della statura.


Luca Tafi

venerdì, dicembre 09, 2011

Prefazione de Gli artisti rinascimentali italiani scienziati della crescita del bambino

Di seguito la prefazione del libro di Ivan Nicoletti di prossima pubblicazione Gli artisti rinascimentali italiani scienziati della crescita del bambino.

L’auxologia – ramo del sapere che indaga sulla crescita dell’uomo – è nata nel Settecento, quando alcuni scienziati hanno iniziato a misurare i bambini e a collegare le misure con le caratteristiche del loro sviluppo. Si è cominciato ad applicare ai dati rilevati – alle esperienze pratiche – la forma mentis e metodi matematici propri della scienza moderna. Si sono così introdotti nei circuiti scientifici, particolarmente medici e antropologici, medie (di statura, peso, circonferenze, diametri somatici), rapporti fra dimensioni diverse, relazioni fra crescita fisica e maturazione sessuale e sviluppo psichico e singole malattie, e il concetto generale di normalità.
Nell’Ottocento, lo scienziato belga Quételet ha elaborato la teoria dell’uomo medio, basato sui valori medi; modello superato nel Novecento, quando si è imposta l’idea che la natura è generatrice di variabilità e individualità, e che la crescita è dotata di una forte valenza individuale.
L’odierna auxologia studia e costruisce modelli indicativi di ciò che hanno in comune osservazioni e rilevazioni ripetute nelle medesime condizioni, relative alla popolazione sana e a gruppi colpiti da una particolare malattia o malformazione. Questi modelli indicano le caratteristiche che rendono un individuo simile a un altro, entro tuttavia un ampio campo di variazione, in un rilevante alone di differenziazioni, base della ineludibile specifica e personale individualità.

Ma qual era lo status culturale, quali conoscenze si erano accumulate e quali idee circolavano nei secoli, nei millenni precedenti il Settecento?
Gli storici, i medici e i demografi hanno evidenziato come il bambino, nell’antichità e fino al tardo Medioevo, sia rimasto in una zona d’ombra: pochissime le osservazioni di natura medica, assente l’idea di crescita (oggi così presente a partire dalla cellula primordiale): ci si limitava a catalogare il bambino in una classe di età definita con criteri biologico-sociali (età dell’allattamento e della dentizione, dell’apprendimento della lingua, dell’addestramento alla vita militare, dell’apprendistato, del matrimonio).
Le arti - pittura e scultura –fino al Tre-Quattrocento riflettono lo scotoma dietro il quale si nascondeva il bambino, rappresentandolo poco e in maniera standardizzata, e quasi esclusivamente in due fasi del ciclo vitale: nella prima infanzia come un piccolo adulto, riproducendolo appunto con le proporzioni adulte; e nell’età dell’adolescenza o ad essa prossima: l’interesse per le età intermedie fra i due momenti era pressoché nullo. Caratteristica delle raffigurazioni artistiche era anche la scarsissima espressione di una relazione emotiva o affettiva fra il bambino e l’adulto.

La situazione cambia con il tardo Medioevo e il Rinascimento, quando si affermano, com’è noto, una nuova cultura e un nuovo atteggiamento pedagogico. Le arti visive scoprono il bambino reale. E dei due aspetti sopra detti - quello somatico e quello affettivo-relazionale – quest’ultimo realizza per primo una svolta essenziale. Il Bambino per eccellenza (Gesù Bambino) si laicizza, si umanizza. La scuola senese e quella fiorentina della fine del Duecento e del Trecento cominciano a rappresentare la Madonna e il Bambino in affettuoso reciproco rapporto come avviene nella realtà fra una madre e un figlio tenuto in braccio. Nel Quattrocento, le proporzioni somatiche del bambino diventano con evidenza quelle proprie dell’età. Cessa così l’era del Dio Bambino e del piccolo adulto.
Nel Rinascimento avviene anche un’altra novità: i fanciulli e i ragazzi di tutte le età invadono le tavole dei pittori e si moltiplicano nelle opere scultoree. Si può tracciare una iconografia della crescita, dai disegni del feto di Leonardo al lattante, all’infante che scherza con la madre, al fanciullo, allo scolaro, al ragazzo di strada, all’adolescente che canta nei cori parrocchiali, all’apprendista, al giovane di bottega, al tardo adolescente, così come indicano le figure che riportiamo nel volume. Tutto ciò in Toscana, da dove tale iconografia si diffonderà ovunque, in Italia e negli altri paesi occidentali.

Gli artisti toscani del Quattro-Cinquecento descrivono con dettaglio e precisione il cammino verso l’età adulta, quello che chiamiamo, appunto, crescita. Questa descrizione è una indagine sulla realtà. La rappresentazione artistica “ha per le scienze descrittive [parte essenziale della nuova scienza rinascimentale] la stessa importanza che ha (per l’astronomia e le scienze della vita) l’invenzione del telescopio e del microscopio. […] La collaborazione degli ‘artisti’ ebbe, nelle scienze descrittive, effetti rivoluzionari” (Rossi, 1988).
Gli artisti rinascimentali raffigurando con acume - e competenza dovuta al loro puntuale studio della realtà – tutte le fasi del ciclo vitale, sottendono un filo che unisce le tappe dello sviluppo in un processo evolutivo che, attraverso continue modificazioni sia somatiche sia psicologiche strettamente connesse con l’ambiente familiare e sociale, conduce all’età adulta. Entra così nella cultura l’idea di crescita, non riconducibile a una semplice catalogazione di situazioni statiche, bensì pregna di un significato di maturazione,e destinata a essere associata al complesso meccanismo biologico, psicologico e sociale di costruzione e formazione delle generazioni adulte.

Il volume vuole essere un contributo alla storia degli studi sulla crescita: quando e dove nasce l’idea di crescita, la sua relazione con la cultura nella quale sorge e si sviluppa, e in quale relazione si pone con la moderna auxologia, studio scientifico dello sviluppo biologico dell’uomo. Vuole anche essere una testimonianza di come l’arte possa permettere di cogliere passaggi fondamentali della storia delle scienze. Il libro è pertanto destinato, oltre che ai colleghi medici, a tutti coloro che amano indagare e scoprire nell’arte tratti salienti dell’evoluzione della cultura.

mercoledì, ottobre 12, 2011

Semeiotica Auxologica

Riportiamo la Premessa del libro del prof. Ivan Nicoletti "Semeiotica Auxologica per il monitoraggio della crescita e dei suoi disturbi", Edizioni Centro Studi Auxologici, Firenze 2010, Nicomp LE ISBN 978-88-87814-96-5 € 28

Premessa

L' auxologia, in un trattato del 1965, veniva da Giovanni De Toni definita "scienza che studia le modalità dell'accrescimento [dell'essere umano] e le condizioni che possono favorirlo, oppure all'incontro ostacolarlo". Una definizione biologica che fa riferimento a tutto l'arco evolutivo dalla fecondazione all'età adulta, e include il rapporto fra crescita e ambiente, con una estensione, pertanto, dal biologico e medico al sociale. Negli ultimi decenni del secolo scorso l'interesse per l'auxologia si è diffuso fino a coinvolgere - come scrive James M. Tanner (1988) - "oltre a antropologi fisici, pediatri e qualche psicologo, anche endocrinologi, genetisti, biologi dello sviluppo, medici di salute pubblica, insegnanti di educazione fisica, insegnanti in generale, economisti e storici". I rapporti sempre più evidenti fra crescita e condizioni socioeconomiche della popolazione hanno consentito di individuare, nel miglioramento dello sviluppo dei bambini, un indice generale di avanzamento delle condizioni socioeconomiche dell'intera popolazione.
Su questo vasto scenario, il dominio al quale appartiene la materia del libro è l'auxologia clinica, in particolare la semeiotica auxologica, insieme di modalità di utilizzo clinico della auxologia. Semeiotica della crescita per pediatri di famiglia e clinici, pediatri endocrinologi, ginecologi dell'infanzia e dell'adolescenza, medici sportivi, professionisti che svolgono nella collettività la funzione di monitoraggio dello sviluppo dei bambini e degli adolescenti.
Il filo conduttore del testo si snoda dalla diagnosi di normalità alla diagnosi delle anomalie e malattie dello sviluppo. Innanzitutto, quindi, una metodologia per valutare se un bambino, un adolescente cresce sano, secondo la norma; una metodica basata su dati di osservazione e misurazioni raccolti dal medico, senza ricorrere a ricerche di laboratorio o a esami specialistici; al tempo stesso la possibilità di diagnosi precoce di disturbi della crescita e di conseguente adeguata terapia. Infine, una semeiotica che riguardi anche i soggetti con malattie croniche che hanno pure conseguenze sullo sviluppo (un esempio per tutte, le malattie renali e le cardiopatie croniche).

Il volume si compone di due parti (ciascuna con tre capitoli) e un’appendice: la prima parte riguarda la valutazione della crescita, la seconda le alterazioni della crescita, l’appendice comprende standard di crescita e un metodo per la valutazione della maturazione scheletrica.
Il capitolo 1 descrive le fasi caratteristiche dell’accrescimento somatico, le modalità di rilevazione e valutazione delle principali misure del bambino, la metodica per la costruzione delle carte auxologiche, le nozioni di biometria e statistica medica indispensabili per l’auxologia.
Il secondo capitolo tratta, con i metodi della moderna biometria, il tema dei tre grandi cicli dello sviluppo fisico (infanzia, fanciullezza e adolescenza), assumendo la statura come misura indicativa del processo di crescita globale. La trattazione parte dall’assunto che per osservare con migliore dettaglio l’andamento della crescita si devono riportare da un lato le stature raggiunte ad età successive (le “distanze”, in gergo auxologico), dall’altro gli incrementi annui della statura (le “velocità grezze”). Esaminando i grafici di molti soggetti i biostatistici hanno costruito modelli della crescita, atti a creare curve che pongono in luce le regolarità della crescita da porre in relazione con aspetti clinici e endocrinologici. Il primo e l’ultimo paragrafo consentono di acquisire i concetti basilari della modellizzazione; i paragrafi intermedi sono utili a chi volesse approfondire le caratteristiche matematiche dei vari modelli e le differenze fra essi.
Il capitolo 3 è dedicato alla maturazione scheletrica o ossea, la cui determinazione è di primaria importanza per la diagnosi auxologica. Il medico, per giudicare se il soggetto che sta esaminando presenta un grado di maturazione scheletrica nella media, anticipato o ritardato, può utilizzare il metodo di valutazione della maturazione ossea riportato in Appendice. Esso è di facile applicazione, e in uso da molti anni presso vari centri di auxologia, con risultati soddisfacenti. Nel capitolo figurano anche considerazioni sul grado di maturazione ossea come indice di età cronologica (par. 3.8), sulla relazione fra maturazione scheletrica e predizione della statura adulta (par. 3.9) e performance sportiva (par. 3.10).
La seconda parte riguarda le alterazioni dello sviluppo, alcune delle quali sono costituzionali o comunque non definibili propriamente patologiche, altre nettamente patologiche. I capitoli indicano il procedimento per giungere a una diagnosi certa o almeno estremamente probabile, tenendo presenti le classificazioni, in parte originali, delle alterazioni della statura, della composizione corporea e dello sviluppo puberale.
Il capitolo 4 espone le alterazioni della statura (bassa e alta statura), con particolare riferimento alla statura bersaglio e range bersaglio, indicativi del patrimonio genetico, al grado di maturazione ossea e all’andamento della curva di crescita. La statura è alterata in moltissime sindromi caratterizzate da gravissime malformazioni presenti fin dalla nascita, che costituiscono l’oggetto di altri settori della medicina; esse non vengono pertanto considerate in questa sede.
Il capitolo 5 tratta i metodi antropometrici atti a misurare la massa grassa e riporta i più recenti standard italiani e internazionali.
Il capitolo 6 riguarda lo sviluppo puberale e le sue alterazioni. Può essere di particolare interesse, oltre che per i pediatri, per gli endocrinologi e i ginecologi dell’infanzia e dell’adolescenza, poiché la valutazione auxologica contribuisce validamente alla decisione se trattare o no una pubertà anticipata o una pubertà precoce o un ritardo puberale. Vengono riportati considerazioni e suggerimenti metodologici tratti dall’esperienza clinica e le tabelle percentiliche italiane relative ai vari stadi di sviluppo dei caratteri sessuali secondari.

Il testo è corredato di numerose Note e di una Appendice che comprende, come già accennato, carte auxologiche e un metodo di valutazione della maturazione scheletrica. Delle carte auxologiche alcune sono tratte da ricerche su popolazione italiana (Nicoletti et al, 1992; Bertino et al, 2004; Cacciari et al, 2006), altre sono standard della Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2006; 2007), utilizzabili per la valutazione di soggetti non italiani.
Le Note e l’Appendice rendono il testo uno strumento di per sé sufficiente a precise esigenze diagnostiche.

La musica è finita?

"Il nuovo" in forma cartacea non uscirà più, la crisi non ci ha risparmiato. Continueremo, comunque, a pubblicare su questo blog con una maggiore continuità, iniziando con un articolo sulla musica destinato al giornale.

La musica è finita?

Ecco...
la musica è finita,
gli amici se ne vanno,
che inutile serata, amore mio,
ho aspettato tanto per vederti
ma non è servito a niente.

(Nicola Salerno - Franco Califano - Umberto Bindi)

Chi di voi ricorda questa splendida canzone portata al successo da Ornella Vanoni ma cantata anche da Mario Guarnera, Franco Califano, Mina, Massimo Ranieri, Umberto Bindi, Orietta Berti e addirittura, in una versione inglese intitolata Our Song, da un insospettabile Robert Plant pre Led Zeppelin.
E se la musica fosse finita veramente?
Molti segnali lo fanno credere, certamente non la musica in senso lato bensì la musica come la intendiamo noi e come siamo stati abituati ad intenderla. Cioè la composizione musicale allo stato puro, destinata unicamente all’ascolto e non a elemento di decoro per altri tipi di manifestazione.
Il concetto di musica come ascolto ricreativo è comunque relativamente recente ed è riconducibile al rinascimento, laddove in precedenza era legata ad altri aspetti della connivenza sociale: presso gli ebrei le orchestrine suonavano in occasione dei matrimoni e di altri festeggiamenti, presso i greci i gruppi musicali sottolineavano le azioni degli attori nei teatri, presso i romani le bande seguivano d’appresso la marcia degli eserciti, senza contare il ruolo avuto dalla musica sia nella preghiera sia nei baccanali goliardici e profani.
Ma anche dopo il rinascimento è proseguito un utilizzo della musica quale accessorio, ad esempio nelle feste da ballo o attraverso fenomeni particolari come la tafelmusik (una musica da tavola utilizzata come sottofondo durante feste e banchetti).
Un cambiamento radicale s’è poi avuto con l’avvento della società industriale, mentre la nobiltà di fatto sponsorizzava (e manteneva) i musicisti a puro scopo filantropico, e/o per soddisfare la propria passione per le arti, con l’avvento della borghesia si è affermato il nuovo concetto di musica quale fenomeno commerciale (le istituzioni pubbliche e numerose fondazioni hanno tentato di sostituire il ruolo svolto in passato dalla nobiltà con risultati altalenanti).
È così che per i musicisti, e per gli artisti in generale, s’è reso necessario lavorare su più fronti per una pura questione di sopravvivenza. Il musicista americano Charles Ives risolse la questione attraverso la dicotomia assicuratore (come lavoro) / musicista (nel tempo libero). Altri si sono piegati alle nuove regole del sistema lavorando per il cinema, la televisione e la pubblicità. Per tutte quelle situazioni, cioè, che abbisognano di una musica quale accessoriato.
Lo sviluppo dei sistemi informatici ha poi portato ad un ulteriore aumento di quei meccanismi, dai videogiochi alle sonerie dei cellulari, che necessitano di una propria colonna sonora.
Quello che si va così configurando è un tipo di musicista che sembra conoscere, più ancora del pentagramma, i meccanismi della programmazione elettronica.
La musica che ci attende sembra quindi essere più che altro un accompagnamento alle nostre azioni quotidiane e, perché no, anche qualcosa studiato appositamente per conciliare e rendere più rilassante il nostro sonno.
E, indovinando anche quale sarà il funzionamento del mondo computerizzato, non si presenterà più come opera compiuta ma come un abbozzo destinato ad essere modificato a proprio gusto, uso e consumo durante il suo passaggio di mano in mano. Quello che oggi viene definito remix altro non sarebbe così altro che una prefigurazione di quello che sarà il prossimo futuro.
Ma in fondo è in questo modo, con le progressive modifiche avvenute durante il passaparola, che in passato si sono formate le più inossidabili leggende.
E quindi, seppure alcuni meccanismi possano essere trasferiti da un settore all’altro delle attività umane, alla fin fine non c’è niente di nuovo.
Quale modo migliore di chiudere questo breve excursus con il testo di un'altra nota canzone (con la quale I Camaleonti si piazzarono terzi al Cantagiro del 1967) che ben sintetizza quello che ho scritto e quello che intendo dire:
non c'è niente di nuovo
alla luce del sole
le rose sono sempre rosse
e verdi, i prati
non c'è niente di nuovo
per le strade del mondo
chi sogna resta
sempre indietro
e crede di vivere.
(Daniele Pace – Mario Panzeri)
Etero Genio

domenica, ottobre 02, 2011

Le modificazioni morfostrutturali del cervello che avvengono in adolescenza possono spiegare i tratti comportamentali tipici di quest'età?

L’adolescenza è stata definita come il periodo di transizione che caratterizza il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Durante questo periodo, gli individui acquisiscono le capacità necessarie per condurre un' esistenza relativamente indipendente dalla realtà familiare e una vita sessualmente attiva. Nella specie umana, l’acquisizione di queste abilità richiede dei cambiamenti a livello delle sfere cognitiva, emotiva e sociale, che agiscono in sinergia con cambiamenti concomitanti a livello biologico e ambientale.
L’opinione degli psichiatri e psicologi riguardo alla valutazione dell’adolescenza non è affatto concorde, soprattutto in ambito emotivo.
Anna Freud, Blos ed Erikson, pur con delle differenze, hanno evidenziato dalla prospettiva psicoanalitica come i compiti che l’adolescente si sente chiamato ad affrontare siano estremamente ardui: la ricerca di una propria identità attraverso le difficoltà connesse con l’affiorare degli impulsi sessuali, i cambiamenti esplosivi cui il corpo va incontro, lo svolgersi della seconda fase del processo di separazione individuazione, la conseguente emancipazione dal rapporto triangolare edipico coi genitori, il confronto coi pari che assume un’importanza primaria, la ristrutturazione del sé ideale e le nuove richieste imposte dal mondo degli adulti caratterizzano quest’età di passaggio e la popolano di insidie e ostacoli al punto che Laufer & Laufer parlano di un vero e proprio break down, punto di rottura, che per sua natura racchiude in se i germi di un possibile esito destrutturante.
Dall’altro lato c’è un punto di vista del tutto diverso, proprio della life-span developmental psychology (Baltes et al., 1980; Rutter et al. 1992), da cui scaturisce una visione dell’intero sviluppo dell’individuo come un susseguirsi fisiologico di fasi di progresso e ritiro, di apertura e regressione, di continuità e cambiamenti, in cui l’adolescenza rappresenta una naturale tappa, certamente ricca di mutamenti rapidi e nuove sfide, che però non assumono una connotazione necessariamente negativa né appaiono minacciosi e critici come nella visione descritta precedentemente.
Questi convinzioni sostanzialmente antitetiche, insieme con la diffusione delle moderne tecniche di neuroimaging e alla recente formulazione di strumenti di valutazione empirica dell’esperienza emotiva, hanno favorito il fiorire di studi sulle emozioni in età adolescenziale.
L'intento dello studio è di avvalersi delle più recenti evidenze ottenute nelle ricerche neurologiche per tentare di delineare come lo sviluppo neurologico, particolarmente intenso in questa fase della crescita, possa in parte offrire una spiegazione di alcuni particolari elementi distintivi del comportamento adolescenziale.
Dal punto di vista neurologico, lo sviluppo in termini morfologici, differenziativi e funzionali di alcune aree corticali tra cui quella prefrontale, che s’intensifica particolarmente in adolescenza e infine si completa intorno ai venti anni, rende ragione insieme naturalmente con l’accumularsi delle esperienze di vita, dell’aumento delle competenze cognitive e delle strategie di coping dell’individuo: l’adolescente rispetto al bambino ha un’accresciuta possibilità di valutare i diversi stimoli offerti dall’ambiente e di riflettere su di essi. Inoltre, ammesso l’innegabile ruolo che ha l’ambiente nello stimolare e favorire l’articolazione della vita emotiva dell’individuo nel corso della crescita, in adolescenza si può parlare a ragione di un moltiplicarsi di occasioni di sviluppo delle emozioni: sia dal punto di vista qualitativo che quantitativamente il “debutto” autonomo in società che avviene in questa età offre situazioni di incontro, confronto e scontro con figure diverse da quelle familiari e in contesti che spesso prevedono l’assenza di figure adulte di controllo (insegnanti, tutori, etc). Se si accetta l’idea dell’emozione innanzitutto come “risposta al nuovo”, è chiaro che in questa fase si modificherà grandemente la possibilità del verificarsi e la natura stessa delle esperienze emotive.

Le tecniche di neuroimaging strutturale e funzionale hanno permesso negli ultimi anni di ottenere informazioni fondamentali riguardo alla maturazione cerebrale e le prime evidenze hanno permesso la formulazione di ipotesi che traducono i cambiamenti strutturali e funzionali nei correlati comportamentali tipici dell’adolescenza.
Durante l’adolescenza si osserva un cambiamento del rapporto tra materia grigia, indice di densità cellulare delle fibre non mielinizzate, e materia bianca, indice di mielinizzazione (Paus et al., 1999; Dahl, 2001 Gogtay et al., 2004; Mabbot et al., 2006): queste modificazioni potrebbero essere l’espressione della combinazione dei processi di mielinizzazione e di potatura che avvengono in quest’età. La mielinizzazione consente una comunicazione più rapida tra le diverse regioni cerebrali mentre la potatura permette una codificazione neurale più efficiente: questi fenomeni potrebbero almeno parzialmente rendere ragione della diminuzione del tempo di reazione e dell’attività di manipolazione cognitiva che si osservano in adolescenza. Le modificazioni strutturali avvengono in un arco di tempo protratto ed hanno un andamento che sembra progredire dalle aree posteriori a quelle anteriori e dorsali così che la perdita di materia grigia nella regione parietale risulta più spiccata dall’infanzia all’adolescenza mentre la materia grigia della regione prefrontale diminuisce più marcatamente tra l’adolescenza e l’età adulta (Sowell et al., 2004; Gogtay et al., 2006) . Le modificazioni delle strutture sottocorticali non sono state ancora pienamente delucidate, pur tuttavia è stata dimostrata una diminuzione del volume striatale con il progredire dell’età mentre non sono stati osservati significativi cambiamenti del volume ippocampale.

Le prime evidenze di neuroimaging funzionale sembrano supportare il modello triadico di Ernst (2006) che ipotizza uno squilibrio funzionale tra corteccia prefrontale mediale/ventrale, lo striato ventrale e l'amigdala. La corteccia prefrontale mediale ha un ruolo di supervisione, l’amigdala media i comportamenti di evitamento mentre lo striato ventrale è responsabile dell’approccio comportamentale attivo. Questi tre sistemi fisiologicamente nell’adulto agiscono in equilibrio e assolvono le loro funzioni in cooperazione tra di loro. Il modello a priori di Ernst si basa sulle teorie evoluzionistiche: esso ipotizza che il cervello degli adolescenti sia sottoposto a cambiamenti unici che promuovono comportamenti adattativi e favorevoli ai fini della riproduzione. L’adolescenza è infatti il periodo in cui l’individuo inizia a rendersi indipendente dalla famiglia, acquisendo gradualmente l’autonomia necessaria a soddisfare i criteri per rivestire un ruolo di adulto in termini di vita sociale e sessuale. Lo squilibrio tra i tre sistemi menzionati potrebbe in parte essere responsabile dei comportamenti impulsivi di allontanamento dalla famiglia, che favoriscono la possibilità di intessere nuove relazioni con l’altro e con una prospettiva ancora più ampia promuovono l’accoppiamento e la diversità genetica della specie. I comportamenti di ricerca della novità e di assunzione del rischio facilitano la transizione all’età adulta. Queste premesse teoriche sono state confermate dagli studi di neuroimaging riguardanti questi tre sistemi: è stato evidenziato che in seguito a stimoli di rewarding (ricerca del piacere) lo striato ventrale si attiva più marcatamente negli adolescenti rispetto agli adulti (Galvan et al., 2006) e che gli adolescenti. attivano una minore porzione della corteccia prefrontale mediale e orbitofrontale (Eshel et al., 2007) Le acquisizioni coronali e sagittali della SPM99 T1 MRI brain, mostrano l’attivazione maggiore negli adulti di quei loci che regolano le funzioni di decision making (presa di una scelta). Questi loci si trovano nella corteccia prefrontale ventrolaterale e orbitofrontale di sinsitra e nella corteccia cingolata anteriore (Eshel et al., 2007)
Conclusioni
In conclusione, si può affermare che gli studi di neuroimaging morfologico e funzionale supportano l'ipotesi secondo la quale le sostanziali modificazioni che avvengono durante il periodo dell'adolescenza, in sinergia con i nuovi stimoli ambientali e con le nuove richieste del contesto, possano tradursi nei comportamenti e negli atteggiamenti tipici di quest'età. Tali comportamenti, favorsicono l'allontanamento dalla famiglia, la ricerca del piacere e l'apertura verso nuove relazioni: è evidente che dal punto di vista psichico e con una prospettiva rivolta all'individuo, questi comportamenti determinano il passaggio all'età adulta mentre da un punto di vista biologico ed evoluzionistico risultano adattativi e vantaggiosi per la variabilità genetica e la prosecuzione della specie.
Arianna Marconi, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell'Età Evolutiva. Policlinico Umberto I, Roma.

mercoledì, giugno 24, 2009

La alte stature - appunti per i medici

Per convenzione si definisce alta statura una statura corrispondente a un percentile superiore al 97°. Ma si deve tenere presente la constatazione clinica che un’alta statura, non associata a tratti dismorfici o ad altra anomalia, in generale richiede un approfondimento diagnostico solo se supera il 99° percentile del range bersaglio, geneticamente determinato. Nel caso di un’alta statura non inserita in una specifica sindrome, si deve in primo luogo eseguire un confronto con la statura dei genitori, calcolando la statura bersaglio e il range bersaglio da riportare sul grafico individuale: questo consente già di giudicare approssimativamente se la statura del soggetto rientra nei limiti del range bersaglio. Altro metodo, più adatto a specialisti – al quale appena accenniamo - è rappresentato dal calcolo della differenza fra lo Standard Deviation Score (SDS) della statura bersaglio e quello della statura attuale.
Nel caso che la statura superi il 99° percentile, è opportuno procedere all’esame della maturazione scheletrica e ad altri accertamenti, specialmente endocrinologici; indispensabile in ogni caso un follow-up per il controllo della cinetica della crescita e dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari; una predizione della statura adulta sarebbe di grande utilità, ma purtroppo i metodi attuali forniscono risposte poco attendibili.



Classificazione delle alte stature

Alte stature non patologiche
alta statura relativa
alta statura genetica
alta statura costituzionale
Alte stature endocrinologiche
ipogonadismo costituzionale
gigantismo ipofisario
transitorie (v. pubertà precoce [cap.5]; alterazioni dell'asse ipotalamo-surrene [cap. 3])
Alta statura in specifiche sindromi
sindrome di Klinefelter
sindrome di Sotos
sindrome di Marfan e Marfan-simile
Alta statura in forme patologiche rare
omocistinuria
deficit familiare di glucocorticoidi
forme associate a gravi dismorfismi




Alte stature non patologiche
Alta statura relativa
• Possiamo definire tale una statura nei limiti della norma per la popolazione di appartenenza, ma fuori dai limiti del 97° percentile del range bersaglio. Può rappresentare semplicemente una variante della normalità, ma è opportuno che venga eseguito un follow-up della crescita.


Alta statura relativa.








Alta statura genetica
• È caratterizzata da una curva della statura che segue fin dai primi mesi di vita l’andamento di una curva percentilica posta al di sopra di quella del 97° percentile della carta auxologica, ma entro il limite del range bersaglio.
• Velocità di crescita staturale secondo la curva media di velocità di coloro che seguono il 97° percentile .
• Maturazione scheletrica generalmente > 50° percentile.
• Maturazione sessuale generalmente anticipata.



Alta statura genetica.


Alta statura costituzionale
• Si definisce tale una statura che superi il 97° percentile della carta auxologica e si trovi al di sopra del limite del 97° percentile del range bersaglio.
• È generalmente associata ad anticipo dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari e anticipo della maturazione scheletrica.

Alta statura costituzionale.




Alte stature endocrinologiche
Alta statura da ipogonadismo costituzionale
• Ritardo di sviluppo sessuale puberale (ipogonadismo ipogonadotropico).
• Statura nell'ambito del range bersaglio fino all'inizio dello sviluppo dei caratteri sessuali, che avviene spontaneamente oltre il limite della norma o in seguito a terapia (steroidi sessuali).
• Notevole aumento di velocità di crescita della statura al momento dell'inizio di sviluppo spontaneo dei caratteri sessuali o dell'inizio di adeguata terapia .
• Ritardo della maturazione scheletrica con spurt al momento dell'inizio dello sviluppo sessuale.


Alta statura da ipogonadismo costituzionale

Gigantismo ipofisario
• Prima della saldatura delle cartilagini epifisarie, si osserva rapida crescita non associata ad una parallela accelerazione della maturazione scheletrica; generalmente dovuto a tumore ipofisario.
• Se il tumore ipofisario si manifesta nell’adolescenza, al gigantismo possono associarsi segni di acromegalia.


Alte stature in specifiche sindromi
Sindrome di Klinefelter
• All’alta statura si associa una particolarmente elevata lunghezza degli arti inferiori.
• Il fenotipo è maschile, ma il volume testicolare anche nella pubertà avanzata, e successivamente, è molto ridotto (2-4 ml); i testicoli vanno incontro a una progressiva fibrosi.
• Frequente ginecomastia.

Sindrome di Sotos (Gigantismo cerebrale)
• Elevata velocità di crescita sin dal periodo prenatale
• Alla nascita lunghezza e dimensioni della testa, mani e piedi superiori alla norma
• Ritardo mentale di vario grado. e malformazioni cerebrali.

Sindrome di Marfan
• Alta statura associata ad aracnodattilia.
• Nei maschi la statura può raggiungere 220 cm, nelle femmine 200.
• Scoliosi.
• Esiste un’evidente sproporzione tra la lunghezza degli arti e quella del tronco: il rapporto tra il segmento superiore e quello inferiore è in genere più di 2 deviazioni standard al di sotto della media.

Alte stature in forme patologiche rare
Omocistinuria
• Alta statura associata ad aracnodattilia, simile alla sindrome di Marfan.

Deficit familiare di glucocorticoidi
• Da mancata risposta all’ACTH da parte della surrene.


Forme con gravi dismorfismi
Alcune forme, come ad esempio la sindrome di Beckwith-Wiedemann, sono riconoscibili già alla nascita per i dismorfismi associati all'alta statura.

lunedì, febbraio 23, 2009

Nota sulla "malattia bipolare" nell'età evolutiva

La malattia bipolare, o disturbo bipolare, è una malattia a eziologia sconosciuta ma certamente multifattoriale. Molti studi degli ultimi anni hanno indagato in due direzioni: il ruolo dell’influenza genetica e ambientale nella sua genesi; il rapporto tra la forma clinica presente nell’infanzia e nell’adolescenza e quella propria dell’adulto, in altre parole, come evolve la malattia nel passaggio del soggetto dal periodo della crescita allo stadio adulto.
La malattia bipolare è considerata il quadro psichiatrico con maggiore matrice genetica e biologica. La prevalenza dei disturbi affettivi nei genitori biologici di figli con disturbo bipolare è maggiore di quella riscontrata nei genitori adottivi (un tasso di suicidio di 6-10 volte maggiore). Studi di linkage, di genetica e di ricerca molecolare indicano che i geni coinvolti nell’eziopatogenesi della malattia sono il 18q, il 21p, il 4p, l’Xq.
Si ritiene che i figli di genitori con disturbo bipolare presentino un rischio maggiore di contrarre un disturbo psichiatrico nel corso della loro vita. Tra i disturbi psichiatrici, per i disturbi dell’umore è riportata una prevalenza tra il 5 e il 67% (Geller, 2001), e in particolare del 15 % per la malattia bipolare (Chang et al, 2000; Hilligers, 2005). I figli di genitori con disturbo bipolare possono presentare labilità dell’umore, iperarousal, depressione che può evolvere in mania, rabbia/ irritabilità, ridotto bisogno di sonno, sintomi psicosomatici e difficoltà scolastiche. Uno studio condotto da Chang ha evidenziato che il rischio d’insorgenza di un disturbo bipolare è pari al 27% per i figli con uno dei genitori bipolare e addirittura al 74% se entrambi i genitori sono bipolari (Chang, 2007).
Studi condotti su gemelli monozigoti, figli di genitori con disturbo bipolare, evidenziano come la concordanza vari dal 33 al 90%, a dimostrare che le alterazioni geniche non sono l’unico fattore determinante la malattia. A sostegno di ciò sta l’assenza, attualmente, di correlazioni note tra componente genetica e variazioni fenotipiche del disturbo bipolare, oggi non più descritto solo nella forma classica. Il disturbo bipolare si presenta, infatti, con numerose varianti, tanto da giustificare il termine di spettro bipolare.
Negli ultimi decenni numerosi sono stati gli studi sul rapporto tra il disturbo bipolare in età evolutiva e quello in età adulta: continuità o discontinuità? (Chang, 2007). Il disturbo si presenta in maniera “atipica” in età prepuberale rispetto alla malattia dell’adulto, tanto da avvalorare l’ipotesi che si tratti di due entità distinte; d’altronde, dai risultati delle indagini retrospettive che descrivono determinati cluster sintomatologici in età prepuberale, appannaggio dei soggetti adulti bipolari, si potrebbe ipotizzare uno shift, durante la crescita, dalla forma atipica di disturbo bipolare nella pre-adolescenza a una forma classica nell’adulto. Da cosa dipende lo shift? Probabilmente, nel disturbo bipolare l’ereditarietà è poligenica e fattori ambientali giocano un ruolo nell’espressività, forse anche il fattore temporale (Ferrara, Tafuro, Caratelli, 2005).
Spesso alla diagnosi di disturbo bipolare si associa quella di disturbo d’ansia (ansia di separazione, disturbo di panico e GAD ) e/o disturbi del comportamento, in particolare DC e ADHD (Bierdman, 2006). L’elevata percentuale di comorbidità tra disturbo bipolare e ADHD nei figli di soggetti bipolari è a sostegno dell’ipotesi di un comune pattern genetico: un sottotipo specifico di disturbo bipolare, del quale l’ADHD può rappresentare il precursore; o una forma più “aggressiva” di disturbo bipolare che si manifesta a esordio precoce e con sintomi in comune con l’ADHD. Sintomi prodromici? Sintomi d’esordio? Marcatori di sviluppo di una precoce disregolazione emozionale?
È stato introdotto il concetto di neuroticismo (modalità di risposta allo stress) per spiegare come la labilità emozionale e la suscettibilità agli eventi negativi siano caratteristiche del disturbo bipolare e come anche tale pattern di malattia possa essere “ereditato”; i figli di genitori con disturbo bipolare, infatti, non solo ereditano una predisposizione genetica alla malattia, ma la stessa condizione di “essere” figli di genitori con disturbo bipolare, rappresenta un fattore patogeno ambientale. Spesso, infatti, i genitori non sono in grado di accudire i figli e trasmettono loro un modello di sopravvivenza agli eventi della vita caotico e contraddittorio; a riprova di ciò i figli di genitori bipolari in trattamento con litio, hanno meno problemi comportamentali, interpersonali e di gestione delle emozioni (Geller, 2004). Tuttavia, sembra che l’insorgenza della psicopatologia bipolare nei figli di genitori con disturbo bipolare abbia un impatto più drammatico sull’assetto familiare (che si tramuta, spesso, in un minore accudimento da parte dei genitori, espressione quasi di un rifiuto) di quanto non lo sia la malattia del genitore, come percepito dai figli (Reichart et al, 2007). Il minore accudimento oppure alterazioni nell’emotività espressa da parte della madre, in particolare il ridotto calore materno, e le conseguenze che ne derivano, sono associati ad una più alta probabilità di ricadute (Geller, 2004). In queste famiglie sono evidenti le difficoltà di comunicazione e dell’espressività, scarsi sono gli orientamenti intellettuali-culturali e le attività ricreative (espressione queste dello sviluppo cognitivo e sociale) e maggiore è la conflittualità (Belardinelli, 2007).
Hanno importanza per la bipolarità anche i fattori di vita stressanti o circostanze psicosociali (eventi di perdita e di separazione dalle figure di riferimento o significative, maltrattamento e abuso, malattie fisiche, uso di sostanze come alcool, droghe) (Perlis, 2004).
Certamente ulteriori studi di biologia molecolare e di genetica permetteranno di ottenere maggiori informazioni sulla patogenesi della malattia bipolare, sul ruolo dei fattori genetici e ambientali, anche al fine di accertare un eventuale link tra disturbo in età evolutiva ed in età adulta e “ricercare” una possibile via di fuga da un destino “predeterminato” (Maj, 2005).

Patrizia Palombi, Morena Tafuro

giovedì, ottobre 23, 2008

Cibo come mezzo di comunicazione

Cibo come cultura e comunicazione affettiva

22 ottobre 2008 per Il Nuovo

Il mangiare e il suo stile, la sua cultura costituiscono un capitolo di storia della civiltà. Nella vita dei popoli e delle comunità, lo stare insieme a tavola ha avuto a che fare con una forma di ritualità, di laica e fervida sacralità. Un capitolo di storia che ha raggiunto anche momenti quasi di valore epico. C’è un’epica del cibo che sfiora la degradazione. Nel Satiricon di Petronio (primo secolo dopo Cristo) il liberto Trimalcione mangia in una maniera mortalmente esibizionistica. Petronio rappresenta la crisi dell’impero attraverso le ricchezze di un liberto che si manifestano con l’abbondanza, un’ abbondanza oltraggiosa. Affida la crisi dell’impero ad una tavola imbandita. La cena di Trimalcione è al cuore del film di Fellini, il Satiricon, ispirato a Petronio, un pezzo di cinema memorabile. Lì il cibo viene teatralizzato perché entrano a tavola delle combinazioni
faraoniche all’insegna dell’abbondanza, della bellezza, con cui li cuoco si è esercitato, per fornire agli ospiti un cibo che è ricchissimo, è sorprendente, è estetico, ma è anche cupo. La pesantezza raggiunge un carico di pressione che dà il senso della morte. Lo collegavo con il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: la grande tavolata dei principi nel palazzo di Palermo, il luogo dove si festeggia una mirabile estetica della cucina (l’ancienne cuisine).
I pranzi come momenti di socializzazione: anche nel nostro tempo distratto e disunito la consuetudine di aggregare intorno al desco i componenti della famiglia e il modo dell’aggregazione sono segnali per capire che tipo di famiglia sia. Anche i gruppi sociali, di lavoro, sanno che la tavola può essere un momento privilegiato di intesa e di scambio. Pensiamo pure alla funzione comunicativa dell’alcol, che se in una misura moderata è socializzante, prezioso per superare timidezze, stati di imbarazzo, diffidenze.
Il cibo è sempre qualcosa di vitale, qualcosa di eccitante, da Petronio fino ai piaceri del Gran Gourmet in alcuni romanzi dell’800 dove l’attenzione al cibo e alle bevande produce eros e di eleganza.
La letteratura si è occupata anche del mangiatore solitario: si vedano, fra l'altro, alcuni racconti di Moravia sulla golosità, il tipo del goloso solitario, una specie di vizio.
Il quadro sta cambiando in questi anni, se si pensa alla solitudine degli anziani, di per se stessa negazione della convivialità. Aumentano numericamente i single, separati o divorziati, che nel momento del pasto realizzano, forse più che in altri momenti, il senso della loro condizione. Nelle famiglie, per il lavoro e gli orari differenziati dei componenti, capita che i bambini si ritrovino soli davanti alla televisione, a sbonconcellare un panino.


Tutto questo da un punto di vista antropologico sociale. Ma c’è un’altra dimensione importante fondamentale del cibo e dell’alimentarsi, quella psicologica, e in particolare psicoanalitica, psicodinamica.
Il modello meccanicistico delle funzioni del soma, imperante fino quasi ai nostri giorni, poneva il tema dell’alimentazione come un equilibrio nel bilancio tra entrate di calorie e loro dispendio. Siamo portati ad allontanarci dalla unilateralità schematica di questo modello quando ci accorgiamo che il problema dell’alimentazione non è riducibile a questo parametro, bensì che è caratterizzato da una complessità che trae origine dall’unità primaria mente-corpo.. L’alimentazione non è solo soddisfazione del bisogno primario della fame, ma anche ricerca e soddisfazione del piacere, così come il cibo è veicolo di relazioni primarie.
Alimentarsi significa mettere in atto una modalità relazionale, un rapporto. Il cibo è anche metafora, simbolo di immagini interne, che albergano nella realtà psichica di tutti noi, immagini di persone significative della nostra esistenza che gli psicoanalisti chiamano oggetti, oggetti interni. A partire dal primo oggetto d’amore, la madre, che è centrale nell’esperienza di ogni essere umano.Questa prima relazione si carica di emozioni e conflitti e può influenzare i nostri comportamenti e vissuti adulti. Viene in mente la dedica di Pellegrino Artusi, lo scienziato e l’artista della cucina: “ai miei genitori che mi nutrirono con amore e competenza”.
Gli oggetti sono qualcosa che noi possiamo controllare narcisisticamente attraverso il cibo, e il modo di alimentarsi e lo stile dell’alimentazione sono un aspetto della nostra contrattualità con il mondo esterno. Il rapporto con il cibo può essere più o meno consapevolmente un ricatto per gli adulti reali che ci circondano. Un’alimentazione regolare o irregolare è un segnale di relazioni orientate diversamente fra l‘agio di un rapporto sufficientemente sereno e i disagi di un conflitto. Tutto ciò comincia molto precocemente fin dai primi tempi di vita per perdurare durante tutto l’arco della nostra esistenza. È fondamentale nel periodo della crescita, dal lattante e i primissimi anni di vita agli anni della scuola elementare, al periodo della pubertà-adolescenza.

La tecnica dell’infant-observation (osservazione partecipe), iniziata negli anni ’70 da Ester Bick, consiste in un’osservazione partecipe del bambino esercitata nella famiglia, negli istituti scolastici, in altri luoghi di aggregazione. Che cosa possiamo osservare? Da una parte il temperamento del bambino o dell’adolescente, dall’altra l’atteggiamento di chi si prende cura e l’ambiente circostante; infine l’osservazione della dinamica relazionale o comunicazione affettiva che si instaura episodicamente o in modo continuativo.
Il bambino anche piccolissimo, fin dall’allattamento al seno, può presentarsi avido, possessivo, accaparratore o al contrario assente e disincantato o tranquillo e soddisfatto; la madre o un adulto significativo può manifestarsi controllante, ansioso, o lontano e assente, oppure vigile, con spazio nella mente per chiedersi: quale bisogno ha in questo momento il mio bambino? Ha bisogno di carezze, amore o soltanto nutrimento? Esistono molti fraintendimenti ed ansie sommerse, possono emergere tematiche di attaccamento, problemi di separazione-individuazione. Si tratta di movimenti emotivi generalmente inconsci anche se il tema del “ricatto” è sempre incombente. Queste situazioni emozionali sommerse sono alla base di problemi alimentari di cui spesso si lamentano i genitori. L’alimentazione è un mezzo importante per esprimere il grado di conflittualità. Da parte del bambino si attiva una continua ricerca per recuperare una situazione primordiale di non separazione, spinto in questo da vissuti di nostalgia, da un senso di solitudine e precarietà, determinati dall’esperienza di separazione.

Il periodo della scuola elementare, in cui si accentua l’autonomia esplorativa del bambino viene definito periodo della latenza, durante il quale la mente infantile, quando le cose procedono regolarmente, accantona le problematiche relazionali per disporsi ad apprendere cognitivamente dalla realtà. In questo periodo è proprio la scuola l’elemento significativo. Quando un bambino si rifiuta di mangiare a scuola adducendo dolori di pancia, e non vi sono elementi per una diagnosi di patologia somatica, è necessario impegnarsi in una decodifica. Il mangiar troppo o rifiutare il cibo può essere segnale della fobia scolastica. Si pensi ai bambini che si rifiutano di mangiare nelle ore dei pasti mentre si nutrono di caramelle che distribuiscono agli amichetti a scuola. Ritengo sia molto importante coinvolgere gli operatori scolastici in osservazioni sistematiche sui momenti della vita del bambino, mentre gioca, mentre mangia troppo o troppo poco, chiedendo cibo o rifiutandolo.
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La pubertà-adolescenza è un periodo critico anche dal punto di vista alimentare. Nella pubertà-adolescenza avvengono capovolgimenti, per molti una rottura dolorosa con il mondo dell’infanzia, che si esteriorizza in attitudini relazionali eterogenee e contraddittorie. L’equilibrio raggiunto precedentemente è sconvolto sui vari piani dell’identità spaziale-corporea e sociale-relazionale. Costituisce un risveglio, dopo la fase di latenza, dei conflitti e ansie infantili, verso i quali l’adolescente organizza una serie di difese, fra le quali in prima linea i disordini alimentari, che possono arrivare sino all’ anoressia-bulimia.
Arrivano oggi sulla scena delle anoressie anche i maschi, che a lungo erano stati risparmiati da una affezione che sembrava tipicamente femminile. Si vedono oggi molti casi di anoressia transitoria, non diagnosticata. Si ritiene che il dieci per cento di giovinette presenti problemi di anoressia, della durata di circa un anno. Sempre più in aumento l’anoressia delle danzatrici, che incanalano nella danza la loro ricerca instancabile della magrezza, riuscendo così a darle un senso razionalizzato, cioè uno scopo, funzionalizzando l’ideale estetico della levità alla somma agilità dei movimenti. Entrando in competizione con la Silfide, genio femminile delle leggende medievali, che danzava sui fiori senza calpestarli; la danzatrice anoressica riesce a dare al rifiuto del cibo un movente “estetico”. Al contrario, nella bulimia il disperato bisogno di un rapporto fusionale: voler essere nel grasso come in un contenitore-seno, trasformandosi così in una sorta di pulcino nell’uovo, con tutte le sue riserve alimentari.

Concludo riaffermando che un rapporto problematico con il cibo può essere un segnale precoce di disagio e di distorsione relazionale, che occorre decodificare. Per questo è di grande utilità approfondire l’argomento con i genitori, gli insegnanti, gli operatori sociali. La famiglia postmoderna apre una serie di problematiche in riferimento all’allevamento dei bambini, problematiche di cui il vertiginoso aumento dei disordini alimentari può essere un segnale. In particolare, apre il tema dell’attuale organizzazione della vita famigliare, delle strutture famigliari sempre più variabili e atipiche, dei profondi mutamenti dei rapporti di coppia, della nuova identità della donna, del maschile e femminile, del codice materno e del codice paterno, dei lati d’ombra delle conquiste psicosociali della vita contemporanea.

Graziella Magherini