domenica, marzo 26, 2006

Crescere a Firenze nel Rinascimento

Firenze è, come si sa, una delle città nelle quali con maggior forza trova espressione il mutamento della concezione dell’umano che ha caratterizzato l'epoca umanistico-rinascimentale. Come mostra il bel volume di Ilaria Taddei “Fanciulli e Giovani a Firenze. Crescere nel Rinascimento” (Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2001), un aspetto importante della nuova percezione che l'uomo acquista di sé è dato dall'immagine che si viene ad avere dell'infanzia e della sua dignità. Nell'elaborazione di una teoria pedagogica, come nella realizzazione di strutture associative nelle quali i bambini, gli adolescenti e i giovani trovano un loro specifico e privilegiato spazio di vita e di educazione, Firenze ebbe un ruolo centrale. La nuova sensibilità educativa accomunava filosofi trattatisti, ecclesiastici (come i domenicani Antonino Pierozzi e Giacomo Savonarola) e mercanti. Particolare attenzione veniva da molti di essi data alla determinazione dei limiti di partenza e di arrivo delle diverse età della vita nell'intento non solo di stabilire regole educative rivolte a far fronte in modo adeguato alle loro specifiche esigenze, ma anche di evitare una rigorosa separazione fra loro. L'infanzia e la puerizia apparivano infatti caratterizzate dall'incompiutezza fisica e sessuale e soprattutto da uno stato di innocenza che non doveva essere contaminato dal contatto con gli adolescenti segnati dai turbamenti dell'instabilità sessuale, e con i giovani caratterizzati dal raggiungimento di una piena capacità fisica e da una vita fatta di ardore ed eccessi. La nozione di "età" appare ambigua in ogni epoca, come mostrano gli excursus iniziali di questo volume dedicati al tema del succedersi e della delimitazione delle età soprattutto in epoca tardo medievale e rinascimentale effettuato attraverso l'analisi di una molteplicità di fonti, da quelle della trattatistica pedagogica a quelle del diritto romano e canonico, a quelle legislative, amministrative e iconografiche. Nella determinazione delle epoche della vita giocano infatti molteplici fattori legati dalla rappresentazione che i soggetti hanno di sé e del proprio ruolo sociale. Come punto di riferimento, fra i molteplici suggeriti dall'autore, si può in ogni caso indicare lo schema della divisione in età proprio di Isidoro di Siviglia (un monaco di cultura enciclopedica del VI secolo) ripreso nel XV dall'umanista Matteo Palmieri. che distingueva l’"infantia" (dalla nascita ai sette anni), la "puerizia" (dai sette ai quattordici anni), l'"adolescenza" (dai quattordici ai ventotto anni), la "vecchiezza" (dai ventotto ai cinquantasei anni), la "decrepita età" (oltre i settanta anni). A caratterizzare l'infanzia era l’infirmitas, una carenza di intendere e di esprimersi che si prolungava anche nella puerizia. Ma la presenza di questi caratteri non aveva solo significato negativo. Essa significa per l'infante e il bambino anche incapacità di commettere il male con dolo, per la quale il diritto romano sanciva la sua impunibilità. Ma nel medioevo l'apprezzamento dell'infanzia si arricchisce in virtù di un elemento ulteriore, quello del riferimento sempre maggiore nel culto religioso all'infanzia di Gesù, documentato fra l'altro dall'arte figurativa. L'innocenza puerile, celebrata come virtù divina, attribuiva un ruolo privilegiato alla mediazione fra l'uomo e Dio. Alla dimensione sacrale dell'infanzia venne attribuita anche una rilevante funzione sociale in alcuni aspetti però per noi assai conturbanti: basti pensare agli strazi che i bambini erano autorizzati a compiere sui cadaveri dei condannati a morte. In questo modo i bambini annientavano il corpo del colpevole ma anche, in virtù della loro innocenza, placavano l'anima del giustiziato. La valorizzazione della dimensione religiosa innata dell'anima del fanciullo si completava poi nell'attenzione dedicata alla sua educazione religiosa, che in personalità come Antonino e Savonarola si esprimeva soprattutto nell'educazione sacramentale. Importanza particolare assume nella puerizia, quando si ritiene che il bambino inizi a diventare capax doli, il sacramento della confessione; così la valorizzazione dell'infanzia maturata in ambito religioso diffuse un'immagine positiva del fanciullo anche in ambito laico. La trattatistica pedagogica degli umanisti fiorentini, seppur con il limite di essere rivolta soprattutto all'educazione delle élites, attingeva a modelli classici elaborati da autori come Quintiliano e Plutarco. Rispetto a questi presentava però novità sostanziali, condannando metodi troppo rigidi, mettendo al bando le percosse, privilegiando metodi educativi più liberali e soprattutto dando importanza al "buon esempio", ai processi di socializzazione e alle loro regole. Al modo di realizzazione di questi processi, sia per quanto riguarda l'infanzia e la puerizia, sia per quanto riguarda l'adolescenza e la gioventù, così come esso si effettuava all'interno delle "confraternite" specificamente strutturate in funzione delle diverse fasce di età, il volume dedica analisi ricche e avvincenti sulle quali ora lo spazio non consente di soffermarsi.
Luciano Martini (articolo pubblicato su Il nuovo anno 7 n°1)