martedì, aprile 04, 2006

Giganti, un'adolescenza continuata

Quando si dice giganti si ripensa subito al campione italiano del mondo di pugilato, il friulano Primo Camera, e si è letto del gigante pakistano alto 2 metri e quaranta che si guadagna da vivere lasciandosi fotografare accanto ad altre persone o edifici o monumenti. Egli ci ha detto del suo sgomento quando si è accorto che non smetteva mai di crescere. Ma i giganti sono ben antichi, essi hanno popolato due canti dell'Odissea; nel X, col nome di Lestrigoni dato loro da Omero, nell'isola Eolia dove distrussero tutta la flotta di Ulisse e ne mangiarono, crudi, i compagni. Erano arrivati lì gli Achei ("che mangiano pane") dalla terra dove avevano accecato Polifemo, il gigante ciclope figlio di Nettuno e la vendetta del dio del mare è spietata e sopravvive infine solo Ulisse, aggrappato a uno scoglio nelle isole di Nausicaa dei Feaci. E giganti, alti oltre sette metri, erano quelli che decoravano il tempio di Zeus Olimpico ad Akragass (poi Girgenti, ora Agrigento) ove nacque Luigi Pirandello, che nel suo ultimo dramma, intitolato I giganti della montagna sembra ricordare forse più questi di quelli di Omero e li sente, terrifici, arrivare con la loro cavalcata a far tremare i muri della villa ove si trovano terrorizzati gli attori. Le parole "Io ho paura! Ho paura!" di Diamante, l'attrice del dramma, sono le ultime scritte dal grande siciliano nel 1936, alle soglie della seconda guerra mondiale. L'adenoma ipofisario a cellule acidofile che determina il gigantismo in età prepubere e l'acromegalia dopo la pubertà è oggi dominato da varie terapie, se la diagnosi è precoce e la terapia è accessibile al paziente. Come gli Achei di Omero e poi gli attori di Pirandello, anche Dante ebbe paura dei giganti. Egli li incontra in Malebolgie e nota la faccia "lunga e grossa" di Nembrotte, quello della Torre di Babele, dalla cui bocca escono parole incomprensibili e confuse e cui non manca di rimproverare Virgilio. E che le mani di Anteo siano ben grandi ci risulta dal fatto che ben entrambi i poeti stanno in una di esse mentre Anteo li deposita in Cocito dal ghiaccio eterno. Man mano che Dante ne vede meglio l'aspetto (i giganti gli sembravano lì per lì, in quell'aria che era "men che notte e men che giorno") torri: e gli cresceva paura ("e crescimi paura"), dice. In antico, era il gigante Atlante che reggeva il mondo (la nostra Terra) sulle spalle; nelle storie dei santi, Cristoforo, martire cristiano del vicino oriente, traghettava, nel II secolo, i viandanti di là dal fiume. Una notte traghettò un bambino il cui peso cresceva via via per il crescere dei peccati degli uomini e il bambino era Gesù. Lo raffigurano, altissimo, una pittura murale in San Miniato a Firenze (forse del '300), un pannello di un trittico di Giovanni Bellini che è in San Giovanni e Paolo a Venezia; e fre-quente è l'immagine nelle chiese che stanno vicino ai fiumi. Divengono, i giganti, svago nei giardini dei signori, famosi quello di Bomarzo, nella villa Orsini (che costruì il Vignola), ove Ercole vince assai drammaticamente Caco (riverso e scosciato) e quello del Giambologna nella villa di Pratolino (del Granduca Francesco I dei Medici) chiamato l'Appennino con dentro una scala: insomma abitabile. Se nella Bibbia fa spavento agli Ebrei il gigante Filisteo Golia, nella Firenze rinascimentale la testa dello stesso Golia sta ai piedi del David vincitore, sia nelle due sculture di Donatello, ora al Bargello, sia per il Verrocchio (anch'esso oggi al Bargello). E cosi è anche nei dipinti di Andrea del Castagno e di Antonio Pollaiolo dispersi in illustri musei del mondo. E questa testa di Golia non fa più paura, se mai può suscitare compassione, pietà. Ancora Golia lo si vede, morto, mentre sta per essere decapitato nella Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti (tolta dal Battistero dopo l'alluvione del 1966) o ancora vivo nel dipinto di Orazio Gentileschi, oggi a Dublino, in atto di difesa con la mano alzata mentre la spada sta per ucciderlo. Giganti, dunque: minacciosi mostri (di rado raffigurati nell'arte figurativa con le note dell'acromegalia - di cui Dante invece dà segni) per i Greci, per Dante, per Pirandello. Vinti, ridotti comunque a misura d'uomo, nell'ordinata società del Rinascimento fiorentino in specie (come nell'arte dell'età classica di Grecia, ci dice Bernhard Andrete); si pensi alla lotta che sembra quasi sportiva di Ercole e Anteo di Antonio del Pollaiolo, agli Uffizi o, sulla porta di Palazzo Vecchio a Firenze, a Ercole e Caco quieti, a lotta finita, con il vinto che sogguarda al vincitore, di Baccio Bandinelli.
Giorgio Weber (articolo pubblicato su Il nuovo anno 8 n°2)