lunedì, febbraio 04, 2008

Un percorso di teatroterapia per conoscere e saper utilizzare le proprie emozioni

La Psicologia come ambito di studio si occupa dell’integrità dell’esperienza umana nelle sue dimensioni: mentale, corporea, relazionale. Il Teatro come ambito di studio si occupa dell’esperienza umana nella sua totalità di espressioni: mentali, linguistiche, corporee, relazionali, storiche.
Il teatro quindi non è (solamente) un “luogo” dove si va per distrarsi, ma una “attività di ricerca”, di studio, di conoscenza. Il teatro infatti può essere visto come un “dispositivo conoscitivo” molto articolato, mediante il quale si realizza una forma di conoscenza psicologica dell’uomo.
Quindi, pur avendo metodi diversi e diversi obiettivi, la Psicologia e il Teatro possono essere considerati ambedue forme di conoscenza del mondo umano. Ma possono anche essere visti, nella loro dimensione applicativa, come forme di comunicazione, modi di entrare in relazione, strumenti per inter-venire (situarsi tra) e provocare cambiamento, in una situazione, in una persona, in un gruppo.
Conoscenza, comunicazione e cambiamento vanno visti pertanto come momenti di un unico processo.
Se, in campo psicologico, l’attenzione con Freud era stata focalizzata sull’inconscio e la “immersione” nelle esperienze associate all’insorgenza dei sintomi, ora l’attenzione si sposta sui vissuti del qui-ed-ora e sulla dimensione consapevole dell’esperienza. La consapevolezza può essere raggiunta attraverso l’auto-osservazione, che presuppone una certa distanza, una non-identificazione con i contenuti mentali.

Definizioni di drammaterapia
Le prime formulazioni di “Drammaterapia” risalgono ai primi anni ‘60.
Le diverse definizioni mettono in evidenza gli aspetti creativi ed espressivi. Molti teorici sostengono che la Drammaterapia non è semplicemente l’uso delle tecniche teatrali in psicoterapia: sarebbe una disciplina estetica.
Potenziare la creatività e le abilità espressive del soggetto, usare le strutture del teatro, focalizzare l’attenzione sull’espressione simbolica delle emozioni e della comunicazione non verbale, sono obiettivi che distinguono l’approccio della drammaterapia dall’approccio psicoterapeutico ortodosso. Naturalmente il drammaterapeuta incoraggia anche l’espressione verbale delle emozioni, ma può farlo “proiettivamente” attraverso il gioco teatrale, e non necessariamente in modo diretto.
Nel 1979 la British Association for Dramatherapists ha proposto la seguente definizione:
La drammaterapia aiuta a comprendere e alleviare i problemi sociali e psicologici, inclusi le malattie mentali e l’handicap; facilita l’espressione simbolica attraverso la quale l’individuo (sia da solo che in gruppo) entra in contatto con sé stesso, per mezzo di attività creative strutturate che coinvolgono la comunicazione verbale e fisica.
Anche la National Association for Drama Therapy statunitense riconosce nella drammaterapia l’uso intenzionale di processi drammatici per raggiungere un obiettivo terapeutico (sollievo dai sintomi), l’integrazione emozionale e fisica, la crescita personale.
Le radici sono da rintracciare nel complesso humus culturale e teorico degli anni ‘60 quando il teatro affrontava le proprie potenzialità trasformative (riflettendo sulle innovazioni delle avanguardie dei primi decenni del secolo) e le terapie si focalizzavano sui linguaggi non verbali.
La drammaterapia quindi può essere considerata un approccio interdisciplinare, caratterizzato da diversi influssi, scaturito dalle tendenze anticonformiste degli anni ‘60-‘70, che mettevano sotto accusa la psichiatria ed il trattamento della sofferenza psichica, a favore delle “arti terapie”.

L’esperienza
Partendo da questo l’esperienza ha coinvolto 8 pazienti già in terapia individuale, un gruppo omogeneo per tipo di problema cioè il riconoscimento e la conseguente espressione delle emozioni. L’obiettivo del corso è stato quello di entrare, tramite la “grammatica” del teatro, in rapporto con il proprio corpo per riconoscere ed infine conservare ed esaltare la propria emotività, per usarla e non farsi sopraffare da essa.
Nei primi 8 incontri l’attenzione è stata posta allo strumento corpo e alla percezione, quindi esercizi perlopiù volti ad attivare la sensorialità e la corporeità, atti a sviluppare la percezione di sé e, attraverso questa, la coscienza di sé. Obiettivo era quello di imparare come le singole parti del corpo interagiscono, e che si può esercitare un controllo sui movimenti. Alcuni esercizi sono serviti a misurarsi con gli altri e ad equilibrare socialmente la propria espressività.
Con gli esercizi sulla gestualità è stata approfondita la conoscenza delle possibilità espressive del corpo: diventando consapevoli della forza comunicativa dei gesti; si è indotti a riflettere sulla correlazione fra movimenti ed emozioni; si scopre che la comunicazione umana passa in larga misura attraverso il linguaggio non verbale. Si scopre infine che ogni gesto è una battuta.
Negli altri 8 incontri l’intenzione principale è stata quella di liberare nei partecipanti quelle potenzialità espressive che in genere i bambini possiedono in tenera età e che purtroppo tutti crescendo tendono a perdere e ad inibire. Quindi gli esercizi hanno guidato il gruppo a comprendere quanto la modalità con cui ci esprimiamo sia fondamentale per veicolare il significato delle parole, e per sostenere il senso e il valore del linguaggio verbale, e la forza dell’emozione a queste correlate.
I risultati ottenuti sono stati sorprendenti: gli incontri hanno premesso di dimezzare il tempo della terapia individuale, questo grazie all’utilizzo del gruppo, che ha funzionato come cassa di risonanza nel velocizzare l‘apprendimento delle emozioni e rendere più immediata la sperimentazione nell’espressione delle stesse. All’interno di un gruppo infatti il vantaggio è sicuramente quello di creare una “micro-realtà”, che permette ai partecipanti di verificare in vivo la reazione da parte degli altri alle loro azioni, e quindi di calibrare modi e tempi nel rispetto di sé e dell’altro.
Erika Cardeti