domenica, dicembre 02, 2007

Il filo rosso che unisce nonni e nipoti

Se, come qualcuno ha detto, la nostra è una “società solitaria”, in cui l'isolamento costituisce la principale minaccia all'integrità e al benessere dell'individuo, è sempre più urgente elaborare degli antidoti contro tale pericolo. Credo che una strategia particolarmente efficace sia quella di cogliere il filo rosso che si dipana da una generazione a un'altra, di valorizzare il retaggio del passato e la sua azione sul presente, di sottolineare una continuità temporale che annulli i sentimenti di spaesamento e dislocazione storica e risponda al bisogno di sentirsi radicati in un continuum generazionale.

Un albero vitale
In altre parole, ciò che voglio dire è che oggi più che mai nel passato, man mano che la famiglia diventa sempre più ristretta e nucleare, è necessario pensare ad essa in un modo nuovo, considerandola una sorta di albero in cui ogni parte – radici, tronco, rami, foglie – è indispensabile e contribuisce alla salute del tutto. Solo se la linfa scorrerà in tutte le sue componenti l'albero sarà vitale e durerà a lungo, oltre la vita del singolo uomo.
Se ci pensiamo bene, la vita di ciascuno di noi è racchiusa tra i nostri nonni e i nostri nipoti, tra le nostre radici e le nostre propaggini. E allora perché non fare della famiglia, considerata in questa nuova dimensione verticale, una palestra di vita in cui i ruoli che vengono giocati possano soddisfare i bisogni delle diverse generazioni?

A ciascuno la sua parte
Lungo questa traiettoria tutti, anziani, adulti e bambini, hanno una parte da rappresentare, in un gioco interattivo che prevede anche lo scambio dei ruoli e di competenze. Così gli anziani, i nonni, contrasteranno i danni dell'invecchiamento con la consapevolezza di on essere esclusi dala famiglia: gli adulti, la coppia genitoriale, potranno avvalersi di modelli di riferimento collaudati pur nell'ambito di un certo tasso di conflittualità; i più piccoli, i nipoti, sempre più spesso figli unici, potranno sperimentare all'interno di una famiglia-albero, allargata cioè verticalmente, rapporti più articolati e differenziati di quanto non accada a contatto soltanto con i genitori.

Ognuno è figlio di più generazioni
Ma è sopratutto sulle parti estreme dell'albero, le radici e i rami, che mi vorrei soffermarmi, per coglierne le interazioni e i reciproci benefici. Partendo, per far ciò, da due enunciazioni che ritengo fondamentali:
1. Quanto più grande è il pozzo a cui si attinge, tanto maggiori sono le possibilità che si aprono all'individuo per la sua evoluzione e il suo benessere.
2. Ogni figlio è, non soloa livello genetico, ma anche culturale, figlio di più generazioni.
Se, come ha affermato il sociologo Talcott Parsons, le funzioni della famiglia sono fondamentalmente due, la socializzazione dei più giovani e la stabilizzazione della personalità degli adulti, è chiaro che tali funzioni possono essere assolte solo in un contesto in cui tutte le parti dell'albero, dalle radici, al tronco, ai rami, sono in interazione fra loro, dando luogo a un processo dinamico di co-costruzione di valori, di attese, di aspirazioni.

Esempi nel mondo animale
Già nel mondo animale troviamo esempi di un'efficace organizzazione verticale. In molte specie di scimmie viventi allo stato naturale, le madri si adoperano ben presto perché il piccolo, anziché restare loro abbarbicato, entri in contatto con altre scimmie del gruppo, anche anziane. E tali contatti riescono talvolta perfino a mitigare o annullare gli effetti destrutturanti che possono verificarsi in assenza dell'amore materno.

Adottare un nonno
Ma, per tornare agli uomini, un episodio riportato dalla stampa anni fa ci illumina sul bisogno che anziani e bambini hanno gli uni degli altri.
Una bambina francese di sei anni e mezzo, che soffriva perché nella sua famiglia era assente la figura di un nonno, ha preso l'iniziativa di adottarne uno. Sabrina Zentar, di nancy e un vecchietto di 82 anni, il signor Victor, tra i quali è scoccato un vero e proprio “colpo di fulmine”. Il nonno è stato fornito dai servizi sociali ai quali si erano rivolti i genitori di sabrina, esasperati dalle pressanti richieste della piccola. Con Sabrina l'accordo è stato perfetto e nonno e nipote si vedono settimanalmente.
Certo il caso di Victor e Sabrina rappresenta un'eccezione, sopratutto in una società come la nostra che soffre, come affermava Italo Calvino, di una distorsione culturale tipica, orientata come è quasi esclusivamente sui valori giovanili. Pensiamo sempre che la rapidità sia un pregio e trascuriamo l'importanza di una lenta e paziente riflessione. Eppure i bambini istintivamente sanno – e il caso di Sabrina pur nella sua unicità ce lo dimostra – quanto possa essere gratificante volgersi indietro e cercare nella figura dei nonni un apporto significativo alla costruzione di un mondo interiore buono e gratificante.

L'intesa felice
Ma quali sono gli elementi che fanno sì che fra nonni e nipoti possa crearsi un'intesa felice? Forse sono le affinità che li accomunano entrambi, differenziandoli gli uni e gli altri dagli adulti genitori.
I nonni, generalmente esclusi dai processi produttivi, collocati temporalmente nell'ultima fase del ciclo vitale, scarsamente orientati verso il futuro, sanno creare per i nipoti un ambiente a loro misura: osservano con pazienza il presente senza sollecitare eccessivamente il bambino verso il futuro; il tempo scandito dai nonni è più lento rispetto a quello dei genitori; lo spazio è più ristretto, ma meno ingombro. Mentre i genitori, tesi al raggiungimento di mete precise, spiano con ansia i cambiamenti del bambino spingendolo innanzi, i nonni, sollevati da compiti educativi, sono tolleranti e partecipi di ogni piccola quotidiana forma di espressione, gratificati dall'osservazione del bambino com'è.
Ma allora è sempre un idillio il rapporto che si stabilisce tra nonni e nipoti? Ovviamente no, perché anche i nonni devono imparare a diventare tali, accettando innanzi tutto la loro anzianità e ponendosi in una posizione di ascolto. Sartre che, orfano dei genitori, fu allevato da un nonno, così lo descrive nella sua autobiografia con parole di profondo rimpianto: un uomo che non si poneva come sostituto paterno ma al contrario come spalla del nipote nei suoi sogni di onnipotenza; un uomo che non si poneva come modello da imitare ma come sostegno nei momenti di debolezza.
Per concludere con una frase che bene riassume la ricetta vincente: “Decise di considerarmi come uno strano favore del destino, come un dono gratuito e sempre revocabile.....la mia sola presenza lo appagava”.
Ada Fonzi