domenica, luglio 22, 2007

Nascere prima del tempo

Nascere prima del tempo significa nascere prima delle 37 settimane di gestazione, compiute. Nel folto gruppo di bambini che nascono prima del tempo fisiologico si identificano varie sottoclassi, che rappresentano gruppi diversi per problematiche sanitarie, aspettative di sopravvivenza, morbilità e presenza di esiti a distanza: i neonati moderatamente pretermine (da 33 settimane a 36 settimane+6 giorni); i neonati molto pretermine (da 28 a 32 settimane+6 giorni); i neonati estremamente pretermine (al di sotto delle 28 settimane coompiute). All’interno di quest’ultima classe, che costituisce quella più problematica, si può enucleare un gruppo di bambini, per fortuna scarsamente numeroso, ancor più prematuri, definiti di “incerta vitalità” (uncertain viability). Sono neonati di peso compreso generalmente tra i 400 ed i 600 grammi e di età gestazionale compresa tra le 22 settimane e le 25 settimane 6 giorni. Al di sotto, infatti, di questa fascia la sopravvivenza fuori dall’utero è praticamente impossibile, anche se supportata dalle più moderne tecniche di assistenza intensiva neonatale.
La zona di ‘incerta vitalità’ corrisponde all’arco di età in cui inizia lo sviluppo anatomico e funzionale dell’alveolo, l’unità funzionale del polmone. In questi neonati la probabilità di sopravvivenza fuori dal corpo materno è sempre dipendente dall’assistenza con cure intensive, non esiste sopravvivenza senza macchina. Senza trattamento intensivo, in particolare ventilazione meccanica e nutrizione parenterale, pochi bambini sopravvivono più di qualche ora ed anche con le cure intensive più appropriate più della metà di questi piccolissimi muore e i sopravvissuti sono ad elevatissimo rischio di disabilità.
Non esiste un criterio assolutamente valido per distinguere, alla nascita, gli infant of uncertain viability che sopravviveranno da quelli che non sopravvivranno, o per predire come sopravviveranno, anche se un neonatologo di grande esperienza può sospettare quali bambini abbiano più possibilità e quali meno.
Per questi casi di confine nemmeno la definizione di nato vivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità può essere ritenuta appropriata: “è nato vivo ogni prodotto del concepimento che, indipendentemente dalla durata della gestazione, dopo la completa espulsione o estrazione dal corpo materno, respira o mostra qualunque altra evidenza di vita”. Si tratta infatti di una definizione adottata per permettere una distinzione tra nato vivo e nato morto, scientificamente valida, su cui si potessero realisticamente basare le statistiche di sopravvivenza/mortalità in tutto il mondo. Ha un valore epidemiologico, ma non esprime, assolutamente, un giudizio sulla vitalità del neonato.
A questo proposito si deve piuttosto tener conto di un’ osservazione, di Adamo,noto medico legale del secolo scorso: “non si esclude che, nel caso in cui il prodotto del concepimento venga alla luce prima d’essere vitale, esso non possa esprimere tuttavia qualche segno di attività biologica, come muoversi e compiere persino qualche atto respiratorio: feti partoriti al 5° mese si sono visti muovere, respirare e se ne è persino avvertito il vagito. Tuttavia, tali rudimentali manifestazioni biologiche non devono esser considerate segni di acquisita attitudine alla vita autonoma, bensì infruttuosi ed evanescenti conati di vita…Si parla in questi casi, di vita residua…. ”. Se questo osservazione è, come riteniamo, ancora valida, molti feti partoriti nelle estreme età gestazionali, pur rientrando formalmente nel novero dei nati vivi, non possono essere considerati davvero “vitali”.
La valutazione, incongrua, di manifestazioni di una vita intrauterina che se ne sta andando come espressione di una futura capacità di vita autonoma, può portare a sottoporre a rianimazioni intense e prolungate, o addirittura a cure intensive, feti abortiti così prematuramente da non avere alcuna possibilità di sopravvivenza, con tutte le conseguenze sanitarie, economiche, affettive ed umane, per il piccolo e per la famiglia.
Relativamente a questa popolazione di bambini esistono pochi studi, scientificamente validi su cui basarsi per la valutazione della possibilità di sopravvivenza. Anche per quanto riguarda la morbilità, i risultati dei follow up non forniscono dati attendibili a causa dei molti bambini che non è stato possibile seguire perché trasferitisi altrove o per rifiuto o a causa di altre ragioni (barriere linguistiche, malattie intercorrenti, problemi comportamentali, danno sensoriale, danni neurologici). La perdita di tali bambini può influire pesantemente sui risultati dei follow up: per esempio i genitori dei bambini “più danneggiati” possono essere reticenti a rendere pubblico il loro dramma; ci può essere poca propensione dei genitori dei bambini che stanno bene a sottostare al follow-up.
Così, anche solo scegliere a quale studio riferirsi per le nostre valutazioni non è affatto semplice. Uno studio recente, molto serio, è stato condotto in Gran Bretagna con la partecipazione di tutti i 276 punti nascita di quel paese. Nei dieci mesi presi come riferimento, nacquero 4004 bambini di età gestazionale compresa fra le 20 e le 25 settimane + 6 giorni. Solo 1185 (29%) furono classificati come nati vivi, perché la restante parte non sopravvisse neanche all’evento nascita. Di questo 29% un terzo morì in sala parto, durante le manovre di rianimazione, mentre più di un altro terzo morì durante il ricovero in TIN. Solo l’8% dei piccoli sopravvisse fino alla dimissione dall’ospedale. Potremo quindi dire, nella nostra consulenza prenatale ai futuri genitori che, nonostante un atteggiamento terapeutico aggressivo, solo l’8% dei feti/neonati delle gravidanze terminate tra le 20 e le 25 settimane di età gestazionale sopravvive fino alla dimissione dalla TIN.
Ma la storia non finisce qui. Se andiamo a vedere cosa succede a questi bambini a 2 anni e mezzo di età troviamo che, di questo 8%, una parte (circa l’1%) è deceduto per problemi connessi con la prematurità; tra i sopravvissuti, il 7%, la metà dei casi presenta deficit, l’altra metà risulta sano.
Se andiamo avanti nel nostro follow-up e questo 7% di bambini (circa 308) viene valutato a 6 anni di età otteniamo una migliore definizione della prognosi a distanza. Lo studio di Marlow sulla valutazione neurologica e delle capacità cognitive a 6 anni di età corretta, ha messo in evidenza una notevole percentuale di deficit, soprattutto minori performance cognitive, con conseguenti problemi scolastici e di adattamento.
Altri studi sono stati effettuati in molti paesi, europei ed extraeuropei ed in Italia uno studio analogo (ACTION) è tuttora in corso. Non vi sono, tra un paese ed un altro differenze di rilievo, essendo lo standard di assistenza abbastanza simile in tutta Europa. I migliori risultati della Norvegia sono stati interpretati dai norvegesi stessi come dovuti ad una migliore regionalizzazione delle cure alla gravidanza ed al neonato estremamente pretermine.
Quando ci troviamo di fronte ad una minaccia di parto in epoche gestazionali estremamente premature, o dobbiamo, in tali fasce di età gestazionale, far nascere un bambino, per es. per gravi problemi materni, dobbiamo prendere in considerazione i dati riferiti. Siamo così indotti a concludere che le decisioni assistenziali che devono essere prese non possono essere considerate una questione di pertinenza puramente medica, riguardano la società nel suo complesso e diventano oggetto di una valutazione e di un giudizio etico che coinvolge altre professionalità, che deve tenere in grande considerazione l’opinione dei genitori, che sono i primi garanti e tutori del benessere e dell’interesse del loro bambino.
Maria Serenella Pignotti