venerdì, aprile 28, 2006

Adriano Milani Comparetti e l'educazione

Nel secolo scorso, fino alla fine degli anni 50, giungendo ai primi tempi del lavoro di Adriano Milani Comparetti, il sistema educativo costituiva la principale risorsa professionale operativa ed organizzativa, di solito istituzionale, per aiutare i bambini e i ragazzi disabili o con disturbi del comportamento. Pertanto, in seguito al disastro sociale del secondo conflitto mondiale, la Commissione per l’intervento sui minori della Croce Rossa Internazionale (componenti Jean Piaget, Renè Spitz, Hans Hoxter, Ernesto Codignola, e altri) fece nascere nell’immediato dopoguerra istituzioni educative con speciale qualificazione quali il Centro Italo Svizzero di Rimini, diretto da Margherita Zebeli e la Scuola Città Pestalozzi di Firenze, diretta di fatto da Maria Melli Codignola. Nel ‘64 nasceva a Firenze la Scuola Materna Margherita Fasolo, strettamente collegata con i CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva), che ha sempre accolto anche bambini in grave difficoltà. Per mezzo secolo tali strutture guidate da eminenti Educatori, si sono distinte nella cura del disagio sociale e relazionale dei bambini e dei ragazzi, nella loro integrazione sociale e nella formazione degli educatori. Queste istituzioni educative, fondate sui Metodi dell’Educazione Attiva, hanno dato un contributo essenziale, non solo alla riduzione del disagio e del disadattamento di moltissimi bambini e ragazzi ma anche alla formazione di diverse generazioni di cittadini, di educatori, di operatori sociosanitari e di famiglie. Tuttavia i CEMEA, fautori di un credo educativo basato sui principi di giustizia e libertà non realizzarono, nella maggior parte dei Paesi, un cambiamento educativo determinante sulla medicina. Si veda come tuttora in Francia, patria dei CEMEA, i bambini con problemi vengono raccolti prevalentemente in internato negli Istituti Medico Psicopedagogici e come l’organizzazione estremamente repressiva caratteristica della prassi psichiatrica di quel Paese, sia stata solo marginalmente mitigata dai CEMEA francesi, che pure hanno condotto in campo psichiatrico interventi socioeducativi importanti e sistematici.
L’esperienza italiana
In Italia invece l’influenza di esperienze educative condivise con i CEMEA non solo ha contribuito in modo determinante alla maturazione sociale e alla legislazione per l’integrazione scolastica dei disabili, indubbiamente la più aperta del mondo, ma ha avuto anche un ruolo decisivo nella modificazione della prassi sanitaria per l’età evolutiva.
In particolare a Firenze, i CEMEA, mediante la loro strenua attività, basata su concetti e prassi fondanti dell’educazione attiva, hanno sviluppato la loro influenza sul campo medico dell’età evolutiva principalmente in quanto il messaggio è stato partecipato dal pensiero di Adriano Milano Comparetti e dei suoi collaboratori investendo per cinquant’anni il campo nazionale ed internazionale della riabilitazione neuromotoria e dell’integrazione sociale dei disabili.

L’intervento di équipe
Il metodo interdisciplinare ha avuto come presupposto metodologico la discussione dei casi, denominato in medicina “audit”, ma esso sarebbe risultato inutile se caratterizzato dal prevalere d’ufficio del potere esecutivo del direttore sul ruolo propositivo degli altri componenti della struttura, o del potere clinico del medico su quello pedagogico dell’educatore oppure del potere sanitario dell’infermiere o del terapista su quello civico del paziente. Nell’ambiente di Milani il metodo interdisciplinare non è consistito nella confezione per il malcapitato bambino di un abito da arlecchino risultante dal collage dei differenti interventi ultraspecialistici, con lo stolido orgoglio, magari, di averlo confezionato su misura.
Purtroppo nella medicina contemporanea il paziente è spesso costretto ad integrare con affannosa incompetenza i diversi risultati clinici e le proposte di cura, figuriamoci quanto un bambino disabile possa essere in grado di integrare i diversi interventi diretti al miglioramento della propria salute e della propria autonomia. Certamente non è stato facile per le strutture sanitarie andare contro corrente alla tendenza delle varie Amministrazioni, inclini ad incentivare la conflittualità fra le diverse professioni – divide et impera – determinando nei professionisti grandi difficoltà dinamiche, inutili riunioni e risultati non di rado tracotanti e rinsecchiti, sulla base del principio di Cosimo il Vecchio secondo il quale l’intelligenza deve star lontano dalla politica.
Probabilmente la stessa visione del mondo, opposta alla tirannide, e per la quale si considerano i bambini ed i ragazzi nella loro completa dignità di persone, qualsiasi siano la loro origine, malattia o disabilità, impone di dirigere le strutture privilegiando la salute delle persone rispetto ad ogni altra considerazione o vantaggio di potere.
Milani è stato convocatore e guardiano delle procedure rispetto allo staff interdisciplinare, affinché fossero privilegiate le soluzioni più utili al caso, indipendentemente dal ruolo di chi le aveva proposte. Questi presupposti della prassi di audit hanno reso permeabili al contributo educativo dei CEMEA le strutture sanitarie della Croce Rossa.

Educazione allo spirito
democratico
Immediatamente dopo la liberazione Adriano Milani Comparetti fu membro del Direttivo CEMEA, insieme con Margherita Fasolo, Enzo Enriquez Agnoletti, Tristano Codignola, Furno, Edoardo Detti. L’intimo rapporto fra la visione del mondo dei CEMEA e la Resistenza alle dittature dell’Europa Occidentale costituisce una garanzia anche attuale per la missione educativa allo spirito democratico (il primo Stage dei CEMEA in Italia fu nel ’51).
Milani ha avuto contatti con esponenti francesi dei CEMEA provenienti dalla Resistenza Francese come lo psichiatra Leguilleant e sua moglie Irondelle (nome di battaglia da partigiana) promotori della riforma psichiatrica del 13° Arondissement di Parigi e nel tempo ha avuto profondi scambi con grandi educatori, come Margherita Fasolo, Dina Parigi, Margherita Zebeli, Marcello Trentanove, Aldo Pettini, poi Borghi e Tassinari ed alcuni componenti del CEMEA hanno fatto parte dello staff di Milani, soprattutto per quanto riguarda il corpo docente, costituito essenzialmente da educatori appartenenti ai CEMEA: fra questi Lina Mannucci, Neda Battilocchi, Maria Teresa Tassinari, Liliana Basile, Anna Miceli, Flora Turini ed altri. L’attività di questi educatori nello staff costituì una costante spinta per accelerare il processo dalle modalità organizzative dell’educazione istituzionale all’integrazione dei bambini disabili, in quanto le loro attente valutazioni tecniche globali documentavano la riduzione delle potenzialità dei bambini determinata dalle problematiche di separazione dalla famiglia e dallo sradicamento dall’ambiente.
Pertanto Milani nasce culturalmente dalla doppia matrice medico pediatrica ed educativa.

Educazione motoria
I principi educativi apportati dai CEMEA hanno contribuito al pensiero di Milani per quanto riguarda:
- la prassi e l’evoluzione dell’organizzazione delle strutture neuroriabilitative
- l’evoluzione concreta delle istituzioni guidate da Milani. La deistituzionalizzazione. La denominazione dell’”ultimo” Centro da lui diretto: Centro A. Torrigiani di Educazione Motoria, piuttosto che di rieducazione o riabilitazione e sul pensiero teoretico che riconosceva l’importanza del gioco nella riabilitazione, la centralità del bambino, soggetto e non oggetto della educazione motoria, la critica alla riabilitazione emendativa, intesa a rammendare pazientemente e inutilmente i buchi delle funzioni.

Umanizzazione dell’assistenza
I comportamenti sociali implicati nelle professioni sono regolati da norme etiche, come l’insuperato giuramento d’Ippocrate e dalle norme degli ordini professionali che hanno titolo di comminare la sospensione o l’espulsione dall’esercizio professionale, a parte le devianze di pertinenza penale e civile. Ma quello che è lecito o meno non riguarda solamente le eccezioni codificate dalla giurisprudenza e dagli statuti, ma piuttosto l’ingresso, nell’ambito professionale, di consuetudini e di prassi più evolute, civili, adeguate.
Sempre molto utile sottolineare il contributo storico ed attuale di Milani sul mondo sanitario per il superamento del valore e del concetto di umanizzazione dell’assistenza. Se trasponiamo il concetto di umanizzazione dall’assistenza sanitaria all’educazione scopriamo quanto sarebbe mostruoso parlare di umanizzazione dell’educazione.
Nel regime culturale della pietà il malato “deve” dimostrarsi debole e paziente per ottenere il diritto alla pietà di essere curato. Il riconoscimento del suo essere disuguale, inferiore a chi lo cura, costituisce l’atteggiamento o il presupposto necessario per l’accesso alle cure stesse. Così come di solito in molte scuole, chi vuole passare “deve” presupporsi ignorante e remissivo, requisiti necessari per acquisire il diritto ad essere approvato.
In Toscana l’influenza dei CEMEA sul pensiero di Adriano Milani Comparetti ha investito per trent’anni il campo nazionale ed internazionale della riabilitazione neuromotoria. Il messaggio principale di Milani è che chi impara a muoversi è il soggetto e non oggetto dell’educazione. Il sapere costituisce la risposta a domande di cui tutti siamo traboccanti. Chi opera deve aprire e mantenere un clima nel quale scaturiscono le domande di chi deve imparare. Il messaggio di Milani di cui siamo stati testimoni partecipi, è che la qualità fondante, cioè umana, non è diversa nel curante e nel paziente nel loro percorso dell’esistere, del crescere e del conoscere.
Tale criterio ci ha fatto ricondurre, applicare la riflessione dal docente al medico e dall’allievo al malato il principio ippocratico che “il medico non cura il malato, ma gli insegna a curarsi”, che ha molto a che vedere con una trasposizione dei principi dell’Educazione Attiva alla Medicina. Ma allora il mandato, diretto al personale ed all’ambiente sanitario di umanizzarsi, di cercare di essere umani con il paziente, riguarda un’etica di coscienza personale, chiusa nella soggettività solitaria della coscienza del medico, con una ricaduta “graziosa” sui malati, che dichiarano di accettare inferiorità e sottomissione. Ma la dichiarazione o l’ammissione d’inferiorità, non solo non è necessaria, ma conduce decisamente tutto il rapporto medico paziente fuori strada.
Essa infatti allontana il paziente e la famiglia da una posizione di parità umana col medico, che è il prerequisito dell’interazione e della partecipazione. E poi, visto che il paziente dovrebbe idealizzare il medico, da un punto di vista psicopatologico sappiamo bene che qualsiasi processo di idealizzazione sottende necessariamente la successiva caduta degli dei.
Per lo stesso motivo per cui Milani chiuse gli Istituti di Villa Betania e dell’Erta Canina, fu un importante assertore della necessaria presenza dei genitori nei Centri e negli Ospedali per bambini, partecipando con fervore alla guerra dei primi 5 anni ’70, che terminò con l’ingresso dei genitori ad assistere i propri figli in ospedale.
Grande fautore dell’integrazione scolastica dei bambini e dei ragazzi disabili, Milani fu probabilmente il primo studioso medico a dimostrare che non ci poteva essere riabilitazione tecnica in età evolutiva senza una contemporanea riabilitazione sociale.
Massimo Papini, Lina Mannucci (articolo pubblicato su Il nuovo anno 10 n° 1)

domenica, aprile 23, 2006

Itinerari scientifici nel pensiero di Adriano Milani Comparetti

Lo studio del movimento
Per introdurci allo studio del pensiero di Adriano Milani ci sembra significativa la citazione di Sherrington: “Il viaggio della scienza non ha fine. Ha solo luoghi di sosta, punti dove il viaggiatore si guarda intorno e ripensa”1.
Lo studio del movimento è stato il perno centrale attorno al quale, cambiando via via l’osservatorio, Milani ha trovato interrogativi e risposte, quasi un leit motif armonizzato e modulato in ondate preogressive, via via che le sue riflessioni e conclusioni si intrecciavano con i pensieri affluenti di altri studiosi e operatori.
In questo senso fu straordinariamente significativo il suo incontro con Brazelton, favorito dalla intuizione di Renata Gaddini che, conoscendo sia l’uno che l’altro, suggerì il loro incontro, dopo che già Milani aveva introdotto in Italia il video di Brazelton sull’esame neurologico del neonato.
In quell’epoca negli ambienti scientifici grande era, e ben meritata, la fama delle scuole di neuropediatria francese e olandese. Ma Milani e Brazelton, ciascuno separatamente, avevano colto la necessità di affrontare il tema da un punto di vista squisitamente evolutivo, senza per questo disconoscere la indispensabilità di una precisa e sofisticata semeiotica lesionale.
Infatti all’imperativo diagnostico si sovrapponeva la pressione della urgenza prognostica, via via che si faceva strada fra i pediatri la consapevolezza della carenza di strumenti atti a fornire la base per una prognosi evolutiva.

La semiotica positiva
Ecco nascere dunque la semeiotica positiva, ossia lo studio dei segni utili a decifrare, scoprire ed evocare le competenze e le risorse del neonato. Per raggiungere questo obiettivo era necessario che l’esaminatore si collocasse in una posizione di rapporto con il neonato e con il piccolo bambino, ossia che si rendesse capace di interagire in una dimensione relazionale sincera ed empatica.
Va anche aggiunto che il concetto base di “lavorare con le competenze del bambino” era già nella filosofia Bobathiana e nel sistema di Petoe, da tempo ben presenti nel panorama riabilitativo.
Entra così in gioco la dimensione contestuale, sia in senso fisico che relazionale, anche stimolata dall’interesse che via via veniva nascendo e consolidandosi da parte della psicologia, che finalmente non aborriva più l’organico come non appartenente al suo campo d’azione, ma riconosceva l’unità psicobiologica del bambino, così come d’altra parte il mondo spesso alquanto meccanicistico della fisioterapia scopriva la potente interferenza dei fattori psichici e relazionali nella evoluzione dei bambini.

La cartella neuroevolutiva
La cartella neuroevolutiva e gli indici di modalità relazionali nascono come codici di decifrazione del trend evolutivo del bambino. Rispetto alle numerosissime scale di valutazione dello sviluppo hanno la caratteristica non solo di contenere items in numero minimo, necessario e sufficiente, ma soprattutto di essere rilevati in modo tale da riflettere le intrinseche correlazioni interattive permettenti l’emergere delle funzioni. Lo strumento base dell’esaminatore essendo la motoscopia, ossia l’osservazione della configurazione spazio-temporale del movimento.
La conoscenza e le modalità di utilizzazione di questi strumenti di diagnosi di sviluppo costituivano l’oggetto della formazione degli operatori (medici, terapisti, infermieri) nei seminari che rispondevano a un bisogno di chiarezza e di rigorosa semplicità da parte di operatori frastornati dalla fioritura e utilizzazione selvaggia di metodi di valutazione e di trattamento incomunicabili fra loro.

La formazione
Il lavoro di formazione si è svolto in una notevole mole di attività didattica, attraverso i Seminari che hanno visto passare al Centro Torrigiani diretto da Milani almeno 1200 allievi. E questa attività didattica, in atto da subito all’apertura del Centro con corsi specifici per terapisti e insegnanti, si è evoluta nel tempo.
Non la trasmissione di contenuti di una “scuola”, di un “metodo”, ma piuttosto la condivisione delle osservazioni emergenti nella clinica e nella elaborazione teorica con coloro che erano coinvolti direttamente nell’operare con i bambini. Così i partecipanti erano presenti alle visite, ai colloqui con i genitori e alle discussioni “in assenza”, durante le quali le loro competenze non erano oscurate e sopaffatte da una verità rivelata, ma accolte come fertili contributi al lavoro diagnostico e prognostico.
C’era libertà di registrare, in un insegnamento che non aveva nulla del carattere ritentivo, iniziatico di altri ambienti; se ritrovava le sue parole nelle pubblicazioni di qualcuno, Milani diceva soltanto, in tutta sincerità: “Si vede che gli sono piaciuto, no?”
La sua attività di consulenza clinica era comunque sempre didattica, e per questo si può dire che abbia avuto molti più allievi o quantomeno ascoltatori di quanti non risultino dai registri ufficiali dei Seminari del Torrigiani e della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatrria Infantile dell’Università di Firenze, essendo stato consulente di molti servizi in altre regioni.
Non gli piaceva che si parlasse di un “metodo Milani”, e ci teneva a definire la sua proposta una “metodologia”:e si può dire che la sua diffusione e il consenso derivassero dalla idoneità a corrispondere alle esigenze cliniche con rigore scientifico, pur lasciando largo spazio all’individualità dell’operatore.

I terreni confinanti
Impossibile riepilogare qui le molte avventure conoscitive di Milani, in collegamento intrecciato con altre discipline, in esplorazione degli attrattori dominanti nella cultura neuropediatrica: ma come ricercatore sul campo dai terreni confinanti riportava sempre al campo-base i reperti, le deduzioni, le teorizzazioni, rimanendo sempre sostanzialmente pediatra. Medico del bambino, che è andato a scovare fino alla culla prenatale in una spedizione entusiasmante con il gruppo di ostetrici guidato da Janniruberto e in stretta collaborazione con Tajani, un terreno perfetto per continuare in via retrograda, dal neonato al feto, gli studi sul movimento. Nacquero così i lavori sulla interpretazione funzionale dei movimenti fetali, ancora oggi letti, commentati e citati come fondamentale contributo sull’argomento. Suscitarono l’interesse di psicoanalisti e psicoterapeuti, che attraverso i lavori di Milani trovarono l’accesso all’affascinante tema “quando nasce la vita psichica?” E ai numerosi Convegni sul tema, Milani sempre ribatteva : “non quando ma COME?”
Cerca egli stesso la risposta, con gli ultimi scritti sull’ontogenesi dell’identità personale, in un crescendo di insight che forse non a caso hanno di poco preceduto il suo svanire dalla scena del nostro mondo.
M. Luisa Fantini, E. Anna Gidoni (articolo pubblicato su Il Nuovo anno 10 n° 1)


1 Swazly,J.P.(1969), Reflexes and Motor Integration: Sherrington’s Concept of Integrative Action, Harvard University Press.

giovedì, aprile 20, 2006

Un convegno internazionale su Adriano Milani Comparetti

Dedicheremo alcuni articoli a Adriano Milani Comparetti, del quale alcuni di noi sono stati amici e collaboratori, condividendone la generale impostazione e condotta di vita: rifiuto di ogni imposizione sia nella vita personale sia nella ricerca e nella professione, unito ad una totale fiducia nell’ascolto, nel lavoro di gruppo fra persone che perseguono gli stessi fini, con competenze analoghe o diverse. Il lavoro di gruppo o di équipe, quasi per niente attuato dai ricercatori all’inizio della carriera di Milani, fu da questi promosso e attuato nell’ambito delle indgaini che lui stesso conduceva, generalmente in associazione, appunto, con colleghi.
Milani ha spaziato sulla scena della neurologia pediatrica, italiana e mondiale non solo come una punta avanzata, di “eccellenza” tecnica, ma anche con l’afflato “politico”, che costituiva, al di fuori degli istituti scientifici ancora chiusi in se stessi, una caratteristia della Firenze dell’epoca: la politica come attività rivolta al progresso e al maggiore benessere di tutti, indipendentemente dalle convinzioni particolari, culturali o religiose o partitiche delle singole persone.
Questo alto senso della politica, questa civiltà del rispetto, imperavano già nella sua famiglia, dove un grande affetto e una piena solidarietà regnavano fra persone così distanti fra loro per le convinzioni filosofico-religiose, quali erano Adriano e il fratello Lorenzo, divenuto poi tanto famoso.
Il convegno dedicatogli – 20-23 Aprile 2006, a Firenze – tratta sia gli aspetti scientifici e tecnici dell’attività di Milani, dallo studio del movimeno e del comportamento del feto e del neonato, alla ricerca e alla riabiltazione riguardanti la paralisi cerebrale infantile, alla attività educativa, sia gli aspetti politici, nel senso prima ricordato. Nella ricerca di base, anche nell’area della medicina, l’imperativo può, forse, essere tutto racchiuso nel concetto di “libertà di ricerca”; in un’attività come quella svolta dal Milani – medico,di fronte a bambini sofferenti non solo fisicamente e alle loro famiglie – l’approccio “politico” assume il significato di una scelta di campo, per cui ci è apparsa opportuna la tematica di una delle prime relazioni: “La formazione civile e politica di Adriano Milani Comparetti”. E per ragioni analoghe ci è apparsa significativa una delle ultime relazioni, su “Milani: una testimonianza educativa”.
Di particolare importanza è l’attenzione allo sviluppo globale del bambino ricorrente in vari previsti interventi congressuali, secondo una impostazione generale che è propria anche de “Il Nuovo Manifesto per l’Infanzia e l’Adolescenza”..
I.N.

lunedì, aprile 17, 2006

L'ormone della crescita biologicamente inattivo

I disturbi dell’accrescimento staturale, che portano ad un difetto della statura definitiva, dalla bassa statura al nanismo, interessano il 3-4% della popolazione pediatrica.
Le cause di ipostaturalità sono molto numerose e un difetto staturale può essere legato ad un ritardo costituzionale di crescita, a deficit di ormone della crescita (Growth Hormone Deficit, GHD), ad ipotiroidismo, a malattie sistemiche (diabete, malattia celiaca, fibrosi cistica, insufficienza renale), a patologie cromosomiche e a displasie scheletriche.
Non sempre tuttavia è possibile individuare la causa dell’ipostaturalità e nella maggior parte dei casi l’origine resta sconosciuta. Viene comunemente riportato che sulla base di studi epidemiologici la prevalenza di GHD sia intorno a 1:4000 e che la sua frequenza tra le cause di bassa statura si collocherebbe, secondo alcuni autori, intorno a 1:120.E' importante comunque rilevare che tale dato risulta essere, ormai, datato e probabilmente non in linea con le attuali possibilità diagnostiche.
Le forme idiopatiche sono più frequenti rispetto a quelle organiche, ma la presenza di un parente di primo grado affetto nel 3-30% dei casi di GHD suggerisce che una percentuale delle forme considerate idiopatiche abbia in realtà un’origine genetica.
Gli studi sulle alterazioni molecolari dell’asse Growth Hormone Releasing Hormone (GHRH) – GH – Insulin like growth Factor I (IGF-I) sono del tutto recenti e, negli ultimi anni, sono stati identificati e sequenziati diversi geni coinvolti nella regolazione del processo di crescita. Per taluni di essi sono state identificate mutazioni, non solo nell’animale, ma anche nell’uomo. Queste recenti acquisizioni ed il perfezionamento delle tecniche di biologia molecolare aprono pertanto nuove prospettive per individuare l’eziologia genetica dei deficit di GH, sia isolati che combinati.
Di fronte ad un bambino con deficit staturale, nel quale sia stato escluso un deficit di GH, una condizione da ricercare, per quanto rara, è la “Sindrome di Kowarski” o “Sindrome da GH biologicamente inattivo”, condizione nella quale la bassa statura è secondaria non tanto a una difettosa secrezione quantitativa dell’ormone della crescita, ma piuttosto alla presenza di molecole di GH non in grado di svolgere la loro azione. Pertanto, il dosaggio della bioattività del GH e, in casi selezionati, lo studio di biologia molecolare mirato ad evidenziare eventuali mutazioni del gene per il GH, possono essere importanti nell’iter diagnostico della bassa statura.

La valutazione dell'attività biologica del GH
La bioattività sierica del GH dipende da molti fattori, includendo le isoform e binding proteins. Le tradizionali metodiche immunometriche non sono in grado di distinguere le molecole di GH biologicamente attive da quelle inattive, costituendo così un limite non trascurabile al dosaggio immunologico tradizionale. D’altro canto, la valutazione biologica del GH non può essere affidata ai tradizionali dosaggi biologici (tibia test., ecc.), abbandonati per la loro imprecisione e per l’interferenza con altri fattori di crescita.
Negli ultimi anni sono state messe a punto metodiche biologiche che utilizzano, come cellule-bersaglio, preadipociti murini o linfociti derivati da un linfoma GH - dipendente di ratto (Nb2 cells), che permettono una più attendibile valutazione dell'attività biologica del GH. E’ stato recentemente proposto un metodo “immuno-funzionale” che misura solamente la porzione di GH in grado di legarsi al suo recettore epatico .

La Sindrome di Kowarski
L’insensibilità nei confronti del GH intrinseco, senza alterazioni cioè del recettore del GH, è stata segnalata per la prima volta da Kowarski nel 1978 e da ciò la denominazione di “Sindrome di Kowarski” o “biodefective GH” . Kowarski et al hanno descritto 2 bambini di età di 3 anni con fenotipo clinico simile a GHD, severo ritardo di crescita post-natale, bassi livelli di IGF-1, ma una secrezione normale e/o alta secrezione di GH. Ulteriori casi sono stati pubblicati successivamente in letteratura: si trattava di soggetti che presentavano una buona crescita dopo il trattamento con GH esogeno. Questa risposta alla terapia permette una diagnosi differenziale con la sindrome di Laron .
Valenta e collaboratori furono i primi a suggerire le basi biochimiche di tale condizione, riportando il caso di un bambino con oligomeri di GH circolanti. Alterazioni biochimiche suggestive della possibilità di trovarci di fronte ad un caso di bioinattività del GH sono: il riscontro di elevati livelli di ormone della crescita immunodosabile (a riposo e/o dopo stimolo), basse concentrazioni basali di IGF-I e, reperto utile per la diagnosi differenziale con le forme di insensibilità al GH, un marcato incremento di IGF-I dopo somministrazione di GH esogeno, seguito da netto miglioramento della crescita lineare.

Basi genetiche della sindrome di Kowarski
L’interesse del clinico verso i dosaggi biologici si è accresciuto dopo la segnalazione del primo caso di nanismo secondario ad un GH biologicamente inattivo per una mutazione del suo gene. Infatti, l’esatta natura molecolare di questa patologia è rimasta sconosciuta sino alla pubblicazione di due casi di GH mutante da parte di Takahashi. Nel 1996 egli ha riportato in un bambino di bassa statura una transizione da citosina a timina a livello del codone 77 sul gene GH-1; tale mutazione eterozigote determinava la sostituzione di una arginina con una cisteina (R77C) e la conseguente espressione di una proteina immunodosabile, ma inattiva. Gli stessi Autori hanno inoltre dimostrato che il peptide bioinattivo non solo non era in grado di attivare il recettore, ma inibiva anche l’azione del GH esogeno (effetto dominante negativo), presentando una maggiore affinità per la proteina legante l’ormone della crescita (GHBP) e per il recettore. In linea con l’effetto dominante negativo del GH mutante R77C, il paziente in questione non aveva risposto al trattamento a lungo termine con GH esogeno e, dopo un transitorio aumento dell’IGF-I e della velocità di crescita, era tornato alla condizione precedente la terapia. E’ stato perciò ipotizzato che questo fenotipo rappresenti una nuova sindrome causata da un naturale antagonista del GH. Sempre gli stessi Autori hanno più recentemente descritto la presenza di GH bioinattivo in una bambina di bassa statura, con mutazione eterozigote di una singola base, da adenina a guanina, sull’esone 4 del gene GH-1, e conseguente sostituzione di un residuo di acido aspartico con uno di glicina al codone 112 (D112G). In questo caso la proteina mutata impedisce la dimerizzazione del recettore del GH e la successiva trasduzione del segnale. Al contrario del soggetto con mutazione R77C, si è verificata un’ottima risposta alla terapia con GH.
Nel 1999 Binder ha descritto 3 pazienti, con segni clinici e laboratoristici tipici del GH bioinattivo, che presentavano ridotta secrezione di GH quando valutata con dosaggio biologico - Nb2 cells oltre a normale incremento dell’IGF-1 dopo stimolo con GH esogeno ed una significativa accelerazione della velocità di crescita in corso di trattamento. In questi pazienti è stato eseguito lo studio di biologia molecolare senza evidenziare mutazioni del gene per il GH – 1.

Esperienza personale
La nostra esperienza maturata su circa 50 casi evidenzia che in una percentuale superiore al 50% di pazienti con caratteristiche cliniche di GHD, ma con risposte discrepanti nei tests diagnostici classici, è possibile riscontrare un GH biologicamente inattivo.
L’elevato numero di soggetti con tale caratteristiche rende però necessario stabilire regole più chiare per diagnosticare con precisione i soggetti affetti da Sindrome da GH biologicamente inattivo.
In effetti né la soglia arbitrariamente situata a 6,7 ng/ml, né il valore della ratio <0,8 probabilmente sono in grado di identificare con buona sensibilità e specificità tali pazienti. Anche se la ratio sembrerebbe, almeno da un punto di vista teorico, un indice migliore dell’attività biologica dal momento che tiene in considerazione anche i valori totali di GH circolanti.

Conclusione
Il dosaggio della bioattività del GH, valutato in senso assoluto o come ratio GH Nb2/IFMA, può essere importante nell'iter diagnostico della bassa statura, permettendo di individuare i soggetti che potrebbero beneficiare di un trattamento sostitutivo con GH, pur dimostrando una normale secrezione dell'ormone stesso durante i tradizionali test di stimolo.
Pertanto, nella diagnosi differenziale delle basse stature idiopatiche con le caratteristiche sopra citate deve essere sempre tenuta in considerazione la Sindrome di Kowarski, benchè questa non sia molto frequente.
Lorenzo Iughetti, Barbara Predieri, Antonella Tirendi (articolo pubblicato su Il nuovo anno 7 n° 3)

venerdì, aprile 14, 2006

Variazioni climatiche e pollini in atmosfera

I cambiamenti climatici sono eventi verificatisi anche nel passato più remoto, esclusivamente determinati da cause naturali.
Quelli recenti, che hanno prodotto, tra l’altro, un aumento della temperatura media del pianeta di 0,6°C negli ultimi 150 anni, sono invece da attribuire anche alle attività umane, che hanno fatto aumentare la concentrazione in atmosfera dei gas ad effetto serra, primo fra tutti il biossido di carbonio (CO2).
Una delle conseguenze dei recenti cambiamenti climatici è l’alterazione della produzione, della liberazione, della stagione di pollinazione e della distribuzione delle piante sorgente. Così negli ultimi anni è stato rilevato un incremento della concentrazione nell’aria dei pollini di betulla, ambrosia – specie in ambiente urbano - e cryptomeria.
Il dato più significativo riguarda, comunque, l’andamento della stagione di pollinazione di piante allergeniche, specie di quelle a fioritura invernale e primaverile; vengono riportati anticipi significativi della stagione di crescita di varie specie presenti alle nostre latitudini e il prolungamento della stagione vegetativa autunnale. Il nocciolo, la betulla, l’ontano, le graminacee, l’olivo tendono ad anticipare la pollinazione di 0,5-1 giorno l’anno mentre alcune piante estive tendono a prolungare il periodo della pollinazione; la parietaria, per esempio, libera polline fino in autunno in zone dove, fino a pochi anni fa, la fioritura cessava a settembre. La precocità della pollinazione sembra essere maggiore nelle città, probabilmente per un maggior incremento termico, con un anticipo fino a 4 giorni rispetto alle zone rurali.
La variazione della distribuzione delle piante sorgente ha portato la betulla a diffondersi a zone dove di solito non vi erano condizioni climatiche favorevoli, così l’olivo, la parietaria e l’ambrosia hanno spostato verso il centro Europa il proprio limite di distribuzione. Questo fatto fa ipotizzare la possibilità che si possano trovare nell’aria pollini di piante non abituali.
Tutto questo potrebbe modificare il quadro complessivo delle allergie da pollini e in particolare della severità dei sintomi che potrebbe essere aggravata dalla precocità e dalla maggior durata dell’esposizione.
Luca Tafi (articolo pubblicato su Il nuovo anno 9 n° 3)

lunedì, aprile 10, 2006

La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato?

Il taglio cesareo (TC) sta registrando un preoccupante aumento in Italia negli ultimi anni. Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sostengono che il tasso di TC non dovrebbe superare il 15%, ma in Italia abbiamo già superato il 30% ed in alcune regioni come la Campania siamo al 60%. La gravità della situazione si può ben capire se consideriamo che ciò comporta un aumento della spesa sanitaria, un maggior rischio di morbilità e mortalità materna (essendo il TC un intervento chirurgico) e, in assenza di una chiara indicazione medica, nessun beneficio sulla salute neonatale. Anzi è ampiamente documentato che, a parità di condizioni di salute materna e fetale, l’adattamento neonatale è facilitato nel nato da parto vaginale spontaneo rispetto ad un nato da taglio cesareo in particolare se d’elezione.
Il travaglio spontaneo è preceduto da un’ attivazione ormonale che ne facilita l’evoluzione, così come i successivi adattamenti materno e neonatale.
Per il neonato le principali differenze sono a livello respiratorio, termico, immunologico, neurocomportamentale e relazionale, con possibili effetti a breve e lungo termine.

Adattamento respiratorio
Nel nato da taglio cesareo (TC) rispetto al nato da parto spontaneo per via vaginale sono più frequenti le difficoltà respiratorie (tachipnea transitoria nel nato a termine e distress respiratorio nel pretermine). I più alti livelli di catecolamine neonatali stimolate dal travaglio fanno sì che la compliance polmonare sia migliore; esse stimolano il riassorbimento del liquido alveolare e la produzione di surfactante. Il rischio di problemi respiratori nel neonato è 6,9 maggiore nel nato da TC d’elezione rispetto al nato per via vaginale e 2,8 maggiore nel nato da TC a travaglio iniziato.
In caso di TC d’elezione il pre-trattamento con ossitocina (con induzione artificiale del travaglio) provoca un peggiore adattamento neonatale, mentre un effetto positivo è dimostrato dal pre-trattamento con terbutalina, stimolante dei recettori -adrenergici uterini (più alti livelli di catecolamine e di glicemia, migliore funzionalità respiratoria, anche se le madri sanguinano un po’ di più durante l’intervento)
Pertanto in caso di TC d’elezione è conveniente, se possibile, aspettare l’inizio spontaneo del travaglio, mentre è controproducente indurlo artificialmente.

Adattamento termico, glicemico e ripresa del peso
La temperatura è più elevata e si mantiene meglio ai livelli fisiologici nei nati da parto spontaneo vaginale rispetto ai nati da TC in corso di travaglio ed è migliore in questi rispetto ai nati da TC d’elezione. In questi ultimi avvengono un minor aumento di nor-adrenalina, cortisolo, ormoni tiroidei ed una minore attività simpatica nei primi 30min., oltre ad una minore attività termogenetica del grasso bruno neonatale. Inoltre i livelli glicemici sono mediamente inferiori ed anche la ripresa del peso neonatale avviene in tempi mediamente più lunghi.

Trasfusione placentare
La fisiologica trasfusione placentare, che al momento della nascita fa sì che 20-35 cc/Kg di sangue passino dalla placenta al neonato, è minore in caso di TC d’elezione rispetto ad un parto per via vaginale (per mancanza delle contrazioni uterine). E’ noto che una minore trasfusione placentare, riducendo i depositi di ferro, può facilitare l’insorgenza di anemia sideropenica ad un anno di età.

Adattamento immunologico
Il travaglio ha effetti favorevoli sullo sviluppo immunitario. Nei nati da TC abbiamo ritardo ed alterazione nella colonizzazione batterica intestinale (cruciale per lo sviluppo della tolleranza orale e lo stimolo allo sviluppo immunitario precoce extra-uterino), una diminuzione del numero dei neutrofili fetali e delle cellule natural killer, una diversa attività fagocitarla. E’ stato ipotizzato che questi fattori possano alterare lo sviluppo del rapporto tra linfociti Th1 e linfociti Th2, con conseguente maggior rischio di sviluppare atopia (lo sviluppo della tolleranza orale è di stimolo alle attività Th1 e inibisce la IL-10 e il TGF-β e quindi le attività Th2). Ciò potrebbe spiegare la recente documentazione, che ha trovato già diverse conferme, della maggiore incidenza di asma allergico (senza aumento di atopia, rinite allergica, eczema atopico) nei nati da TC e la maggiore ospedalizzazione per asma e gastroenteriti nel primo anno di vita.

Adattamento neurocomportamentale e relazionale
Nel nato da parto vaginale nei primi 2 giorni di vita il sonno è più stabile, con meno transizioni tra sonno e veglia, più sonno leggero e singoli periodi di sonno più brevi, sia rispetto al TC d’urgenza che d’elezione. Nel nato da TC è stata anche dimostrata una maggiore immaturità ed instabilità funzionale all’EEG dinamico, con ritardo nell’organizzazione della ritmicità circadiana dei pattern del sonno, più bassa soglia di convulsività.
Il nato da TC è meno propositivo, cioè manifesta minore iniziativa a livello posturo-motorio e comportamentale, sia per gli effetti dell’anestesia materna (ciò è dimostrato anche in nati da analgesia durante il travaglio), che per il diverso stato neuroendocrino dovuto alla mancanza del travaglio. Ciò rende meno attivi i primi contatti con la madre, potendo disturbare il processo del ‘bonding’, così come l’instaurarsi dell’alimentazione al seno.
Nel TC, ed in particolare in quello d’urgenza, è dimostrato un instaurarsi più lento della relazione madre-neonato; ancora ad un mese vi sono meno periodi di contatto occhio-occhio tra madri e neonati e ad un anno le madri che hanno subito un TC d’urgenza riferiscono maggiore incertezza sulle loro capacità di accudire il bambino (maggiori difficoltà nell’adattarsi alla nascita ed al ruolo genitoriale), senza che vi siano significative differenze tra i bambini in termini di comportamento generale e di sviluppo psicomotorio.

In conclusione abbiamo oggi sempre più evidenze e conoscenze per affermare che vi è una profonda differenza nell’adattamento neonatale e materno tra il nato per via vaginale e quello per TC, specie in assenza di travaglio. Vi è un chiaro effetto di promozione di salute da parte del parto spontaneo per via vaginale, sia a breve che a lungo termine, che deve essere ben conosciuto dagli operatori sanitari e comunicato correttamente alle madri. Il TC va effettuato solo per giustificati motivi medici.
Gherardo Rapisardi (articolo pubblicato sul il nuovo anno 9 n°1)

giovedì, aprile 06, 2006

L'ipertensione arteriosa nel bambino

L'ipertensione arteriosa nell'adulto costituisce una importante causa di morbilità e mortalità per patologia cardiovascolare (25% degli adulti negli USA). La tendenza della pressione arteriosa ad aumentare nel tempo lungo il percentile della determinazione iniziale viene definita tracking. L'importanza del fenomeno in pediatria risiede nella possibilità di individuare i soggetti a rischio di sviluppare precocemente ipertensione arteriosa. La necessità di sottoporre bambini normali allo screening per l'ipertensione è ancora dibattuta anche se è ormai accettato che tutti i bambini al di sopra dei 3 anni di età debbano essere sottoposti ad un controllo dei valori pressori.
Norme per la misurazione della pressione arteriosa nel bambino
• il bambino deve essere il più possibile calmo e rilassato. Quando è possibile, devono essere realizzate almeno 3 misurazioni
• deve essere posto in posizione supina; l'arto in cui si rileva la pressione deve essere posto allo stesso livello del cuore
• è indispensabile l'impiego di un bracciale adeguato. Il manicotto deve avere un'altezza tale da coprire i 2/3 del braccio e una lunghezza tale che la camera d'aria circondi completamente l'arto. Se l'altezza è minore, i valori pressori risultano falsamente elevati.
Per porre una diagnosi di ipertensione arteriosa è necessaria una valutazione clinica del bambino che deve determinare l'entità dell’ipertensione e la sua variabilità circadiana (mediante monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa, ABPM) indagare o escludere cause di ipertensione arteriosa secondaria, valutare la presenza di danno d'organo.

Follow up
Tutti i bambini con diagnosi di ipertensione arteriosa devono essere sottoposti ad un accurato follow up. Il follow up dovrà prevedere controlli molto ravvicinati nei bambini con età inferiore ai 24 mesi: controlli settimanali fino ai 2 mesi, mensili fino a 2 anni e comunque fino al raggiungimento del controllo terapeutico. Dopo i 24 mesi, se l'ipertensione è grave (> 99° centile), non controllata dalla terapia o associata a danno d'organo, controllo semestrale. Se l'ipertensione è ben controllata e se non c'è danno d'organo sono sufficienti controlli annuali. I controlli devono essere comprensivi di elettrocardiogramma, visita cardiologica ed ecocardiogramma. Nei bambini più grandi (età superiore a tre anni) è previsto annualmente mappaggio ambulatoriale dei valori pressori che, nei bambini in età scolare, sarà affiancato dal test ergometrico.
Nei pazienti operati per coartazione aortica, il follow up prevede RMN dopo 2-3 anni dalla correzione.

Terapia
Occorre prima di tutto stabilire se e quando iniziare una terapia antiipertensiva; oggi si tende ad iniziare il trattamento farmacologico nei casi in cui la pressione arteriosa diastolica si mantiene costantemente al di sopra del 95° percentile o quando sono presenti segni o sintomi legati allo stato ipertensivo, ancora, quando si ravvisa una compromissione degli organi bersaglio.
In tutti gli altri casi, conviene attendere prima di iniziare una terapia farmacologica mentre può essere utile raccomandare una serie di norme comportamentali che possono riportare a valori normali una pressione arteriosa non molto elevata.
Il trattamento dell'ipertensione secondaria è subordinato alla cura della malattia di base.
La terapia medica ed i farmaci disponibili sono in grado di controllare nella maggior parte dei casi sia l'ipertensione stabile che le crisi ipertensive anche in età pediatrica. I farmaci più efficaci nei bambini sono rappresentati dai diuretici e dai betabloccanti. Nei casi in cui questi gruppi di farmaci siano inefficaci o mal tollerati, possono essere usati con successo i calcio antagonisti, gli ace-inibitori o i sartanici.
Iva Pollini (articolo pubblicato su Il nuovo anno 8 n°2)

martedì, aprile 04, 2006

Giganti, un'adolescenza continuata

Quando si dice giganti si ripensa subito al campione italiano del mondo di pugilato, il friulano Primo Camera, e si è letto del gigante pakistano alto 2 metri e quaranta che si guadagna da vivere lasciandosi fotografare accanto ad altre persone o edifici o monumenti. Egli ci ha detto del suo sgomento quando si è accorto che non smetteva mai di crescere. Ma i giganti sono ben antichi, essi hanno popolato due canti dell'Odissea; nel X, col nome di Lestrigoni dato loro da Omero, nell'isola Eolia dove distrussero tutta la flotta di Ulisse e ne mangiarono, crudi, i compagni. Erano arrivati lì gli Achei ("che mangiano pane") dalla terra dove avevano accecato Polifemo, il gigante ciclope figlio di Nettuno e la vendetta del dio del mare è spietata e sopravvive infine solo Ulisse, aggrappato a uno scoglio nelle isole di Nausicaa dei Feaci. E giganti, alti oltre sette metri, erano quelli che decoravano il tempio di Zeus Olimpico ad Akragass (poi Girgenti, ora Agrigento) ove nacque Luigi Pirandello, che nel suo ultimo dramma, intitolato I giganti della montagna sembra ricordare forse più questi di quelli di Omero e li sente, terrifici, arrivare con la loro cavalcata a far tremare i muri della villa ove si trovano terrorizzati gli attori. Le parole "Io ho paura! Ho paura!" di Diamante, l'attrice del dramma, sono le ultime scritte dal grande siciliano nel 1936, alle soglie della seconda guerra mondiale. L'adenoma ipofisario a cellule acidofile che determina il gigantismo in età prepubere e l'acromegalia dopo la pubertà è oggi dominato da varie terapie, se la diagnosi è precoce e la terapia è accessibile al paziente. Come gli Achei di Omero e poi gli attori di Pirandello, anche Dante ebbe paura dei giganti. Egli li incontra in Malebolgie e nota la faccia "lunga e grossa" di Nembrotte, quello della Torre di Babele, dalla cui bocca escono parole incomprensibili e confuse e cui non manca di rimproverare Virgilio. E che le mani di Anteo siano ben grandi ci risulta dal fatto che ben entrambi i poeti stanno in una di esse mentre Anteo li deposita in Cocito dal ghiaccio eterno. Man mano che Dante ne vede meglio l'aspetto (i giganti gli sembravano lì per lì, in quell'aria che era "men che notte e men che giorno") torri: e gli cresceva paura ("e crescimi paura"), dice. In antico, era il gigante Atlante che reggeva il mondo (la nostra Terra) sulle spalle; nelle storie dei santi, Cristoforo, martire cristiano del vicino oriente, traghettava, nel II secolo, i viandanti di là dal fiume. Una notte traghettò un bambino il cui peso cresceva via via per il crescere dei peccati degli uomini e il bambino era Gesù. Lo raffigurano, altissimo, una pittura murale in San Miniato a Firenze (forse del '300), un pannello di un trittico di Giovanni Bellini che è in San Giovanni e Paolo a Venezia; e fre-quente è l'immagine nelle chiese che stanno vicino ai fiumi. Divengono, i giganti, svago nei giardini dei signori, famosi quello di Bomarzo, nella villa Orsini (che costruì il Vignola), ove Ercole vince assai drammaticamente Caco (riverso e scosciato) e quello del Giambologna nella villa di Pratolino (del Granduca Francesco I dei Medici) chiamato l'Appennino con dentro una scala: insomma abitabile. Se nella Bibbia fa spavento agli Ebrei il gigante Filisteo Golia, nella Firenze rinascimentale la testa dello stesso Golia sta ai piedi del David vincitore, sia nelle due sculture di Donatello, ora al Bargello, sia per il Verrocchio (anch'esso oggi al Bargello). E cosi è anche nei dipinti di Andrea del Castagno e di Antonio Pollaiolo dispersi in illustri musei del mondo. E questa testa di Golia non fa più paura, se mai può suscitare compassione, pietà. Ancora Golia lo si vede, morto, mentre sta per essere decapitato nella Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti (tolta dal Battistero dopo l'alluvione del 1966) o ancora vivo nel dipinto di Orazio Gentileschi, oggi a Dublino, in atto di difesa con la mano alzata mentre la spada sta per ucciderlo. Giganti, dunque: minacciosi mostri (di rado raffigurati nell'arte figurativa con le note dell'acromegalia - di cui Dante invece dà segni) per i Greci, per Dante, per Pirandello. Vinti, ridotti comunque a misura d'uomo, nell'ordinata società del Rinascimento fiorentino in specie (come nell'arte dell'età classica di Grecia, ci dice Bernhard Andrete); si pensi alla lotta che sembra quasi sportiva di Ercole e Anteo di Antonio del Pollaiolo, agli Uffizi o, sulla porta di Palazzo Vecchio a Firenze, a Ercole e Caco quieti, a lotta finita, con il vinto che sogguarda al vincitore, di Baccio Bandinelli.
Giorgio Weber (articolo pubblicato su Il nuovo anno 8 n°2)

domenica, aprile 02, 2006

La salute del bambino dalla fecondazione all'adolescenza

a cura di Giampaolo Donzelli e Ivan Nicoletti
Contributi di: L. Bulli, F. Carnevale, T.I. Carratelli, E. Chellini, A. Ciardi, G.P. Donzelli, C. Ferrari, M.L. Galante, T. Giacolini, G. Graziani, G. Maciocco, G. Magherini, I. Nicoletti, L. Paoletti, M.S. Pignotti, L. Sedita, L. Tafi, F. Torricelli
Edizioni Centro Studi Auxologici/Nicomp LE, Firenze, 2005, pp 382, € 36

Dedicato a studenti universitari e a professionisti che operano nell'ambito della promozione della salute in età evolutiva. Può inoltre favorire negli operatori in campi diversi, ma finalizzati tutti all'attenzione e alla cura dei giovani e giovanissimi, una comune base di informazioni e l'uso di un linguaggio comune, utili al reciproco rapporto e alla migliore collaborazione.